Il Job Act ha dato i i primi frutti, a livello nazionale e anche in provincia di Terni. I dati parlano chiaro. Il numero degli occupati , in questa provincia, è pari a 88 mila unità rispetto alle 90 mila del 2008, in tempi di pre-crisi. L’aumento degli occupati nel solo 2015 è stato pari al 3,5%. Conseguentemente scende il livello dei disoccupati che si attesta al 12,2%.
Lo afferma Fabio Narciso , presidente dell’assemblea comunale del Partito Democratico e consigliere comunale, in un suo intervento sugli effetti che ha avuto la riforma del mercato del lavoro attuata dal governo Renzi. Le assunzioni a tempo indeterminato, con contratti a tutela crescente, attivate con le norme previste dal job act sono state, in provincia di Terni, nel 2015, 6.945 con un incremento, rispetto al 2014 del 125,5%. Pertanto sono in diminuzione i contratti a progetto e l’apprendistato.
A partire dal 2016, con la riduzione degli incentivi previsti per le aziende, la fiammata del 2015 si è ridimensionata, “come era prevedibile”, sottolina Fabio Narciso.
“Nonostante alcune criticità da sistemare – sottolinea Narciso -l’impianto generale della riforma io lo giudico molto positivo anche perché finalmente adegua il nostro Paese alle trasformazioni dei tempi. Tutto è perfettibile e di cose da mettere a posto ce ne sono ma è importante guardare avanti ad un Paese che progredisce nel segno dei tempi ad un Paese che si confronta decide e si trasforma. ”
QUESTO L’INTERVENTO DI FABIO NARCISO SUL JOB ACT E LE POLITICHE DEL LAVORO E I NUMERI SULL’OCCUPAZIONE IN PROVINCIA DI TERNI
Qualunque riforma del mercato del lavoro è un corollario indispensabile di una politica di sviluppo economico, di politiche industriali adeguate. Non c’è riforma del mercato del lavoro efficace se non c’è sviluppo. Nessuno può pensare che la tipologia di un contratto o uno sgravio contributivo crei sviluppo o induca un imprenditore ad investire sulla risorsa umana. E’ certo però che l’impianto normativo del Job act in questo particolare momento della nostra economia rappresenta un aiuto concreto ad una iniziale ripresa economica dopo diversi anni di crisi profonda.
Alcuni dati:
I dati del mercato del lavoro provinciale relativi all’intero anno 2015 evidenziano una tendenza positiva, all’interno di un quadro generale che rimane tuttavia ancora molto critico. Nello specifico, il numero degli occupati[1] residenti nella provincia di Terni nel 2015 è pari a circa 88 mila unità, e risulta in crescita rispetto al 2014 del 3,5%. Un valore che consente di recuperare in parte la flessione occupazionale a seguito della crisi economica del 2008 (il numero degli occupati nel 2008 era pari a circa 90 mila unità). Il valore percentuale di crescita occupazionale rilevato nel territorio provinciale è superiore sia al valore regionale (+3,1%), sia soprattutto a quello nazionale (0,8%). Il tasso di occupazione provinciale, al pari del numero degli occupati, cresce rispetto al 2014 di 2 punti percentuali, attestandosi al 60,4%; tale valore è leggermente inferiore di quello rilevato a livello regionale, mentre rimane ben al di sopra di quello nazionale.
Il tasso di disoccupazione a livello provinciale scende dal 12,2% rilevato nel 2014 all’11,2% nel 2015 (11,9% a livello nazionale). La diminuzione riguarda sia la componente femminile che quella maschile. L’incremento del numero delle assunzioni, determinato da un miglior andamento del mercato del lavoro, è anche legato al sistema degli incentivi introdotti dal 1° gennaio 2015 (contratto a tutele crescenti – job act) connessi all’attivazione di rapporti di lavoro con il contratto a tempo indeterminato. Le assunzioni effettuate con tale contratto sono nel 2015 pari a 6.945, a fronte di 3.080 rilevate nel 2014; l’aumento è molto significativo (+125,5%), ed è chiaramente determinato dagli incentivi associati a tale contratto.
In diminuzione, sempre rispetto al 2014, il numero di rapporti di lavoro attivati con il contratto a progetto (-33,9%) e con l’apprendistato (-12,4%), mentre per il lavoro interinale si rileva una sensibile crescita (+16,8%). Rimane sostanzialmente stabile il numero dei rapporti di lavoro attivati con il contratto a tempo determinato, che resta di gran lunga la tipologia più utilizzata (soprattutto nel settore dell’agricoltura e della scuola).
I dati nazionali confermano una frenata degli inserimenti lavorativi nel primo bimestre del 2016. Tale frenata, ampiamente prevedibile, è data dal fatto che l’imprenditore che ha assunto nel mese di dicembre della forza lavoro difficilmente continuerà ad assumere nei primi mesi dell’anno, ma i dati rilevati a marzo a livello nazionale confermano il trend di crescita e che l’impianto del job act favorisce questo trend. Nei primi due mesi del 2016 si sono registrati 782 mila contratti di lavoro, il 15% in meno di quelli registrati nello stesso periodo del 2015 con una riduzione dei contratti a tempo indeterminato (-33%) ed in misura minore quelli a termine (-5%) e diminuiscono anche le trasformazioni (- 14%).
Alcune criticità del job act su un impianto di prospettiva:
In sostanza, come era prevedibile, la riduzione degli incentivi ha ridimensionato la dinamica di crescita dei contratti standard confermando le fin troppo facili previsioni. Del resto il Governo
aveva ribadito in più di un occasione che gli interventi del 2015 volevano generare un shock di mercato e che proprio per evitare comportamenti opportunistici da parte delle imprese la loro funzione sarebbe stata progressivamente ridimensionata. In questo senso quindi si tratta di un risultato atteso. Seppur ridimensionati, gli incentivi, oggi è importante renderli stabili per dare certezze in termini di programmazione alle nostre aziende. Più problematica appare invece la questione Voucher, sulla cui crescita esponenziale si concentrano numerosi interrogativi dal momento che per molti osservatori incorporano una quota rilevante di lavoro nero. Anche per questo il Governo è intervenuto rendendoli tracciabili on line al fine di ridurre gli abusi. Il problema di questo strumento è quello che seppur concettualmente utile per fasi economiche e mansioni la sua applicabilità secondo me andrebbe ridotta a tipologie specifiche e non estesa.
Altro problema che è legato ai fini pensionistici, di cui si parla ancora troppo poco, è quello che, come abbiamo visto dai dati, il Job Act ha permesso di aumentare le tutele di lavoro per tutti quei soggetti, tanti, che sono passati da un contratto a progetto ad un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Nello stesso tempo però non è stata prevista una norma di riunificazione pensionistica tra gestione separata pensionistica INPS (cassa a cui versano i contributi i lavoratori a progetto) e la gestione ordinaria INPS (cassa in cui versano i contributi i lavoratori con contratto a tempo indeterminato) situazione questa che fa perdere anni di contribuzione al lavoratore lasciando i contributi nelle casse INPS.
Le politiche attive, la seconda gamba della riforma molto importante per l’incrocio domanda/offerta di lavoro:
Fino a qui i dati che confermano un andamento positivo del mercato dopo tanti anni di pesanti segni negativi anche se ancora c’è molto da fare per recuperare la grande perdita dei posti di lavoro provocata dalla crisi che ha avuto inizio nel 2008 e che abbiamo pesantemente subito in termini occupazionali a tutto il 2014. La riforma del mercato del lavoro è una riforma rispetto alle precedenti che abbraccia diversi aspetti del mercato del lavoro e che quindi adegua anche il sistema delle politiche del lavoro altro aspetto molto importante ed a volte meno considerato del funzionamento del mercato del lavoro. La complessità dell’impianto della riforma ha fatto si che la sua applicazione venisse fatta in due momenti diversi e questo forse, anche se naturale, ha privato l’impianto normativo di una parte fondamentale ed i risultati incoraggianti potrebbero essere migliorati ulteriormente dallo sviluppo della seconda gamba della riforma: quella appunto delle politiche attive. Le misure automatiche (gli incentivi, le forme contrattuali ed anche gli ammortizzatori) agiscono soprattutto sui lavoratori maggiormente occupabili, mentre per le fasce più svantaggiate sono i servizi e le politiche attive a fare la differenza. La questione giovanile ne è la conferma. La storia delle politiche attive parte da lontano 1997 per arrivare ai nostri giorni con servizi ancora troppo giovani e sotto organico se vogliamo raffrontarli a quelli francesi (ANPE) ai servizi a quelli Inglesi (Job Center) ed a quelli tedeschi che impegnano un numero di operatori in genere dieci volte maggiori di quelli impegnati in Italia (il rapporto è di 8000 operatori a fronte di 100.000 nelle altre realtà)
Nonostante alcune criticità da sistemare l’impianto generale della riforma io lo giudico molto positivo anche perché finalmente adegua il nostro Paese alle trasformazioni dei tempi. Tutto è perfettibile e di cose da mettere a posto ce ne sono ma è importante guardare avanti ad un Paese che progredisce nel segno dei tempi ad un Paese che si confronta decide e si trasforma.
Questo per le politiche del lavoro, è un momento di grande trasformazione per quanto riguarda i servizi per l’impiego e le politiche del lavoro. Siamo di fronte ad una svolta epocale in termini normativi ed in termini di modalità di erogazione dei servizi al cittadino ed alle imprese. Il lavoro che si sta facendo è quello di modificare l’impianto normativo e di conseguenza l’erogazione e le tipologie dei servizi per l’impiego assecondando una logica europea di servizi di accompagnamento al disoccupato nei diversi tipi di transizione lavorativa servizi questi che mirano a rendere il
soggetto attivo nella ricerca di lavoro ed allo stesso tempo capace di aggiornare ed implementare le sue competenze professionali.
La scelta è stata quella di passare progressivamente, con una buona dose di coraggio per il nostro Paese, cambiandone il paradigma culturale, ad un sistema che riequilibra l’uso delle politiche attive contemporaneamente ad una riduzione dei periodi di copertura delle politiche passive estendendo contemporaneamente la copertura dei sussidi e delle politiche passive anche ai nuovi target d’utenza che fino ad ora rappresentavano la frontiera dei nuove tipologie lavorative escluse da questi benefici. La formazione con l’acquisizione e l’aggiornamento di nuove competenze e l’accompagnamento del cittadino nella ricerca del lavoro sono il nuovo orizzonte temporale della riforma se vogliamo riassumere il cambiamento possiamo pronunciare due sole parole che danno il senso della riforma: condizionalità e premialità.
Ci siamo lasciati alle spalle il tempo della occupabilità e siamo entrati nel tempo dell’occupazione ossia tutti gli sforzi sono concentrati nell’aumento della capacità d’intermediazione.
Il contesto normativo del mercato del lavoro è stato profondamente riformato dalla legge delega 183/2014 (Jobs Act) che prevede, tra l’altro, la riforma dei servizi per il lavoro e delle politiche attive. In particolare il dlgs 150/2015 organizza la pluralità di soggetti complementari in un sistema a rete coordinata dall’Anpal (Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del lavoro). Il sistema del lavoro è costituito sul territorio da una pluralità di soggetti ed i centri per l’impiego sono affiancati dal sistema degli accreditati, pubblici o privati.
Affinché i Centri per l’Impiego diventino il fulcro della rete ed il punto d’incontro tra domanda ed offerta di lavoro è necessario sviluppare maggiormente il versante dell’offerta di servizi alle imprese anche per fornire un moderno e competente servizio, in grado di ritagliare un piano di sviluppo aziendale scegliendo le misure più idonee fra le molteplici formule di agevolazioni, finanziamenti e progetti formativi offerte dal sistema nazionale e regionale.
Il D.lgs. 150/2015 introduce importanti novità sia sul versante della struttura e della connessione in rete dei Servizi per il lavoro, sia sul rapporto, sempre più stretto e vincolante, fra politiche attive e passive. Per quanto riguarda l’attività dei Cpi, dall’impianto generale del decreto sembra emergere, ancor più che in passato, uno spostamento dell’asse di attività sul versante dei Servizi a supporto dell’inserimento lavorativo rispetto alla gestione amministrativa. Quest’ultima rimane tuttavia indispensabile per l’attuazione dei nuovi strumenti introdotti dalla normativa (Assegno di ricollocazione, Asdi, ecc.) e per gli adempimenti legati ai meccanismi di “condizionalità” delle prestazioni per i beneficiari di strumenti di sostegno al reddito.
Non è solo la conoscenza degli sgravi, degli incentivi e delle modalità e quindi della contrattualistica che facilità un inserimento lavorativo ma è anche la capacità di orientare i nostri giovani a conoscere i fabbisogni precisi delle imprese e di affiancare queste ultime nella scelta delle persone in prospettiva o fin da subito più produttive per la loro realtà produttiva.
Far crescere in questo Paese la cultura della selezione del personale e dell’orientamento è indispensabile per la trasparenza ed il salto di qualità richiesto alle nostre aziende che devono competere in un mercato sempre più difficile. Il non implementare questi sistemi ha un costo sociale che ricade sugli individui sulle famiglie e sulle imprese. Costo fatto di “scelte sbagliate” che non possiamo più permetterci. Insomma un Job Act che proietta le nostre politiche attive in una logica di sviluppo europeo.