Lo studio di Confcommercio si è concentrato su undici categorie di negozi e ha riguardato 39 Comuni dove risiedono circa sette milioni di abitanti ed è attivo il 12% circa del commercio al dettaglio.
Dall’analisi dell’Ufficio Studi Confcommercio emerge che nel Comune di Perugia il calo del numero di imprese è stato dello 0,9%, nel centro storico sono diminuiti nello stesso lasso temporale del 22,9%, mentre nel resto del Comune dell’8,7%. Dinamica invertita a Terni, dove il centro storico ha perso il 9,9% degli esercizi commerciali al dettaglio in sede fissa e il resto del territorio ha perso invece il 12,6%. Di contro, il Comune di Terni ha visto un aumento del 14,7% nel numero di alberghi, bar e ristoranti del centro storico e del 17,1 nel resto del territorio. Dato interessante è quello del numero di abitanti per negozio che pratica il commercio al dettaglio, in sede fissa e ambulante: se la media dei 39 Comuni è 89,4%, a Terni il dato è appena superiore (90,4%) così come anche a Perugia (108,8%). “Dall’analisi – commenta Confcommercio Umbria – emergono sostanzialmente due fenomeni: il primo, che negli ultimi sette anni nei centri storici delle medie città, tra cui Perugia e Terni, c’è stata una forte riduzione di negozi tradizionali, solo parzialmente attenuata dalla crescita del commercio ambulante; il secondo, che in queste stesse città è cresciuto il comparto turistico-ricettivo. Sono dati che confermano il rischio concreto di desertificazione commerciale dei centri storici, che va assolutamente scongiurato. Per Confcommercio il processo di impoverimento delle città e delle aree urbane può e deve essere fermato e invertito, utilizzando tutti gli strumenti ai quali l’Umbria oggi può attingere. A cominciare dai bandi regionali per i centri commerciali naturali, con il grande lavoro che si sta facendo proprio su Perugia e Terni, da estendere alle altre città dell’Umbria, fino ai centri minori. Per arrivare alle opportunità offerte dalla realizzazione dell’Agenda urbana regionale, – conclude Confcommercio Umbria – alla cui attuazione i Comuni possono contribuire con una visione aperta a considerare le imprese del terziario – che oltre a quella economica svolgono anche una funzione insostituibile di integrazione sociale e di servizio alla comunità – come una risorsa da spendere nell’interesse di tutti”.