Basta un’occhiata alle foto (pubblicate su questo sito) e si vede subito che quei pini in zona Città Verde sono malati: la loro malattia si chiama abbandono, noncuranza, assenza di interventi manutentivi, a partire dalle potature periodiche per continuare con la rimozione di rami – dicesi “rami”e basta – pericolanti. Invece ormai sembra una moda: guerra ai pini, considerata vil razza dannata, razza pericolosa, sempre pronta a cadere in testa a qualcuno. Razza cui viene assimilato un acero se, per la stessa incuria, precipita su un semaforo, come accaduto nei giorni scorsi ad un incrocio di via Di Vittorio. Basta che uno di quei rami rovini in terra, magari danneggi il muro di cinta della villa di qualcuno, e via che si parte, motosega in resta, com’è accaduto in via Lungonera. Un ramo caduto, quarantaquattro pini sdraiati con grande orgoglio della giunta comunale tanto tanto da far sorgere il sospetto che qualche assessore si sia fatto fotografare col piede sul pino abbattuto mentre mostra i muscoli. Se in via Lungonera si è esagerato lo dirà l’indagine dei carabinieri forestali che s’è aperta, su esposto di un cittadino, il che non ne sminuisce il significato. Non ci sarà niente di illegittimo, questo è sicuro, come ribadisce l’assessore Benedetta Salvati , che si dice tranquilla perché “è stato fatto tutto quel che doveva essere fatto”, convinta di passare alla storia come Dea Flora ma rischia invece di essere ricordata come Re Attila . La forma sarà stata rispettata, ma gli esposti possono anche essere subito archiviati se considerati del tutto “sballati”, mentre per le quarantaquattro vittime di via Lungonera, al momento, non è così.
Adesso c’è chi vorrebbe ci si rifacesse cavallo a Città Verde – un nome che rischia di diventare un’ironia visto le richieste pressanti degli abitanti affinché quei pini vengano buttati giù, segati alla radice – forti e spalleggiati da un foglio della Comunità Montana che sancirebbe la loro condanna. La stessa Comunità montana che avrebbe decretato l’eutanasia degli alberi di via Lungonera .
Ma che c’entra questa Comunità Montana? Le comunità Montane non dovrebbero occuparsi – come dice la parola stessa – di montagne e di boschi, di tutela delle une e degli altri, e comunque in generale di promozione e difesa dell’ambiente? Ma non le avevano cancellate queste comunità montane? In alcune regioni d’Italia sì, altre sono state ridimensionate nel numero. Così è successo in Umbria. A Terni hanno sede gli uffici della Comunità Montana della Valnerina che comprende i Comuni di Arrone, Cascia, Cerreto di Spoleto, Ferentillo, Montefranco, Monteleone di Spoleto, Norcia, Poggiodomo, Polino, Preci, Sant’Anatolia di Narco, Scheggino, Sellano,Stroncone e Vallo di Nera. E Terni? Solo l’area del Parco Fluviale, per intendersi la zona Cascata della Marmore e poco più. Nel rendere nota la propria politica ambientale, la Comunità Montana Valnerina, si definisce il “soggetto istituzionale finalizzato a eliminare gli squilibri di natura sociale ed economica tra le zone montane ed il resto del territorio nazionale, a difendere il suolo e proteggere la natura” impegnandosi “formalmente a considerare la tutela dell’ambiente quale valore imprescindibile nella pianificazione e gestione territoriale, nonché a perseguire il miglioramento continuo delle prestazioni ambientali e la prevenzione dell’inquinamento nell’organizzazione ed erogazione dei servizi al territorio”. Invece che trasformarsi nel giudice che decreta vita o morte di una pianta – a prescindere se tocchi o no a essa farlo – la Comunità Montana se interpellata non dovrebbe prima di tutto prendere di petto e sollecitare fermamente coloro che lasciano un patrimonio naturale in vergognoso abbandono? Presentando il conto a chi di dovere: siano “quelli di prima” o “quelli di adesso”