L’Ast, riavviata l’attività lunedì 6 aprile scorso, sta ormai avviandosi a rimettere in moto tutti i reparti. Proprio mentre la Confindustria chiede nel Nord Italia di riavviare le attività nonostante sia quella la zona più colpita del Paese dall’emergenza coronavirus. Il dibattito è acceso e ruota attorno ad un tema di quelli dibattuti già da tempo: conta più la salute o conta di più l’economia? Cosa viene prima, l’essere sani o il portafogli? La qualità della vita è assicurata dalla salute ma anche dalla possibilità di mantenersela e quindi da un sistema sanitario efficiente, organizzato, ricco, sì di conoscenze, ma anche di mezzi. E perché il sistema sia in grado di offrire maggiori opportunità sanitarie deve non dimenticare di difendere la propria economia. Sembra un po’ il dibattito sull’uovo e la gallina, se messo giù in questi termini.
Ma non è questo il tema del discorso. Perché a fianco a tutto questo non va perso di vista un altro aspetto della questione: chi può decidere o stabilire se sia la salute o sia l’economia a venire prima? E chi è che decide gli atti conseguenti?
La vicenda Ast, le acciaierie di Terni, da questo punto di vista ha messo in evidenza alcune cose. Basta ripercorrerne le fasi. Allo stop della produzione, a seguito dei provvedimenti restrittivi assunti dal Governo, si è giunti già in un clima di confronto aperto e “caldo” tra la dirigenza e i rappresentanti dei lavoratori – il sindacato – i quali chiedevano una serie di misure di sicurezza atte ad evitare il pericolo di contagio: mascherine, rispetto delle distanze, altri provvedimenti per difendere individualmente ciascuno degli oltre 2.500 dipendenti. Si spingeva già oltre, il sindacato chiedendosi se non fosse il caso di sospendere in una qualche maniera almeno parte dell’attività.
Alle richieste dei lavoratori, l’Ast rispondeva con alcuni provvedimenti, ribadendo più volte che il suo interesse è prima di tutto difendere chi fa parte della “famiglia”. Poi lo stop, deciso dal Governo, seguito quasi subito dalla rappresentazione da parte dell’amministratore delegato di Ast della necessità di rivedere la posizione: Ast è l’unico stabilimento della ThyssenKrupp in cui non si lavora; il pericolo molto concreto è la perdita di quote di mercato in cui Ast è costretta a lasciare spazio ai concorrenti – molti europei – i quali non hanno fermato i loro impianti siderurgici. Un interesse ed un allarme che legittimamente e doverosamente l’impresa persegue: la possibilità di avere un futuro non troppo problematico. Un’azienda sana, che svolga il ruolo che l’Ast ha in un territorio come il Ternano e in generale l’Umbria deve preoccuparsi anche dei risvolti sociali collegati alla sua presenza. Il problema, quindi, non è solo di chi guida la fabbrica o della fabbrica, ma è di tutta la collettività almeno a livello territoriale. La quale collettività ha, però, al momento non solo il problema di eventuali (possibili) difficoltà economiche o occupazionali. Ne ha anzi uno più pressante, terribile, che fa paura: la salute minacciata da una malattia che non si conosce e non si sa come combattere. Due interessi, quelli dell’economia e della salute, che ad un certo momento stanno uno di fronte all’altro. E uno di fronte all’altro stanno coloro che si sentono minacciati più da vicino dall’uno o dall’altro. All’improvviso a Terni ci si è trovati a fare concretamente i conti coi termini di una realtà fino a quel momento soltanto dibattuta.
Com’è andata, allora, a Terni? E’ andata, come noto, che c’è stata la deroga che non è una concessione, ma una presa di posizione: basta infatti presentare un’autocertificazione che la propria produzione è in qualche modo collegata a quella di beni essenziali per far fronte all’emergenza sanitaria e si riapre. Sì, c’è una fase di controllo, nel senso che un occhio il Governo lo pone su quell’autocertificazione, ma come può un prefetto stabilire che le cose non stiano come l’azienda autocertifica che stanno? Un “rotolone” di lamierino può essere usato in mille modi anche dall’industria sanitaria: bombole per ossigeno, parti di macchinari complessi come probabilmente sono i respiratori. Quanto meno per fare l’involucro che contiene tutti i pezzi e pezzettini di cui una macchina complessa è composta.
In sostanza: l’Ast ha deciso e per il resto la comunità ha dovuto prenderne atto ed adeguarsi. C’è stato un vincente ed un perdente in questa fase, tanto che il sindacato ha fatto riferimento ali vecchi metodi padronali, paternalistici: mi impegno a mettere in atto tutte le misure preventive: mascherine, vetri divisori, distanza tra le persone, ecc. ecc., però si lavora e si produce. Riducendo per quanto possibile i rischi, ma non evitandoli come in questo periodo dell’emergenza è, al contrario, fortemente consigliato.
S’affaccia allora un altro rischio che si aggiunge a quelli già temuti per quando ci sarà il dopo virus: che la situazione di difficoltà economica abbia come esito quello di un forzato abbassamento della guardia a difesa di diritti conquistati in anni di impegno e di lotta. E non si parla solo di lavoro.
Nel momento in cui si confrontano due posizioni distanti ed estreme, occorre un arbitrato, ma l’arbitro dev’essere autorevole, deve avere chiara la situazione, stabilire i pro e i contro, avere una propria linea di condotta che deve prima di tutto tener conto del bilanciamento delle esigenze, della susseguenti necessità, dei rischi. E’ la Politica quell’arbitro, sono le Istituzioni. In questo caso il Comune di Terni e la Regione Umbria che, oltretutto, hanno in capo la responsabilità della salute dei cittadini. Non si è vista molto, in verità, questa presenza. Si è annunciata la propria posizione, quella più ovvia, ma è sembrato più che altro un esercizio teorico di affermazione di principi, che andrebbero perseguiti con fermezza, costanza, competenza e fatti valere promuovendo ed esigendo un confronto tra le parti, per perseguire un accordo, un compromesso (parola che non ha solo significati negativi), accettato dalle parti, disposte ognuna ad andare incontro alle esigenze dell’altro. Un’azione condivisa, senza fratture, una discussione franca.
La Politica ha ragione di essere quando attraverso le Istituzioni difende la comunità, tutta la comunità, da squilibri che possono derivare dal peso specifico che ciascuna parte ha di suo. Se si pensa che la politica sia quella con la “p” minuscola delle rivalse, delle polemiche, della divisione, della mancata determinazione, delle mancata proposte ed iniziative… beh, quel che è accaduto nella vicenda riapertura dell’Ast –il più forte decide – potrebbe essere solo il primo avvenimento di una serie.