Chi lo aveva conosciuto aveva sperato che il Comune di Narni si fosse “ricordato” nella giornata del Ricordo di Geppino Micheletti, che non è “entrato” nella foiba ma forse ha anche sofferto di più, sofferto solo per il fatto di essere italiano nel confine orientale dell’Italia alla fine della seconda guerra mondiale, cosa che gli è costato la vita dei suoi due figli due bambini. No, nessun ricordo per Geppino: l’unico ufficiale l’anno scorso gli è stato tributato dal Comune di Amelia. Ma a Narni, dove per anni è stato primario unico dell’ospedale, come non fosse mai esistito.
A Narni non si andrà più dell’intitolazione de “i giardini del pesce”, sotto l’ospedale, quando qualcuno se ne ricorderà. Già, l’ospedale: sarebbe stata una occasione quella di dargli il suo nome per far uscire Geppino Micheletti e la sua storia dal cono d’ombra al quale sembra condannato.
Sino ad ora l’unico suo ricordo è stata una foto in un bar, quello di Gnocchetto: per il resto di Giuseppe Micheletti, detto Geppino, primario di chirurgia all’Ospedale di Narni per lunghissimi anni era come se fosse calato il sipario. Solo a Narni, però, perché nella sua Trieste gli hanno intitolato addirittura un monumento e Simone Cristicchi, il cantante, lo ha commemorato nel suo spettacolo “Magazzino 18”.
Micheletti da medico era andato a dirigere l’ospedale di Pola, capoluogo dell’Istria, sconvolta dai tormenti del dopoguerra. Pola doveva rimanere italiana, ma i “titini” jugoslavi non ne volevano sapere. E gettarono tutte le carte per averla, con un grande attentato. Nella spiaggia di Pola si stava tenendo, nell’agosto del 1946 una gara natatoria, seguitissima. Sulla spiaggia v’erano però anche dei cumuli di bombe, non innescate. Nonostante questo, le bombe esplosero lo stesso causando tantissimi morti e feriti. I sospetti si appuntarono sui servizi segreti jugoslavi. Micheletti era proprio alla marina e si mise immediatamente al tavolo operatorio nonostante avesse riconosciuto i corpi martoriati dei suoi due figli, uno deceduto e l’altro in vita flebile. Lui, Micheletti, continuò ad operare indefesso, senza cedimenti. Solo al termine dell’emergenza, molte ore più tardi, se ne tornò a casa a consolare la madre dei suoi bambini.
Micheletti se ne andò da Pola, passata ai titini e arrivò all’Ospedale di Narni, che scelse quale sua nuova patria, anche perché la conosceva avendo studiato a Perugia. Si installò in una vecchia struttura, senza infermieri solo con le suore del Cottolengo. Micheletti prese quello che c’era in cerca di pace. Lavorava sempre: “Abitava in un appartamento da dove vedeva anche l’ospedale – ricordano i suoi amici, tra cui la madre di Umberto – dormiva molto poco e rimaneva ore a fumare in finestra preso dai suoi pensieri. Se le luci del “suo” reparto si accendevano in maniera improvvisa, partiva di scatto, via di corsa, tra i letti, tra i suoi ammalati, senza che nessuno lo avesse chiamato”.
Traghettò l’ospedale dalla “preistoria” nell’era moderna, contribuendo alla formazione di decine di chirurghi. Quando operava portava con sé in tasca, sempre, un piccolo calzino, era quello di uno dei suoi due figli morti nella tragica esplosione avvenuta sulla spiaggia di Vergarola a Pola: le sue assistenti, le suore, avevano l’ordine di metterlo sempre nel camice. Non faceva pagare nessuno per le visite e a chi aveva bisogno, portava anche le medicine, sino all’ultimo, sino al 1961 quando morì. Ma se a Narni nessuno è sembrato sino ad oggi ricordarsene, tranne Umberto Di Loreto, a Trieste gli venne assegnata una decorazione alla memoria per “per il suo encomiabile gesto di umana pietà ed elevata etica professionale, assurgendo a simbolo degli alti valori morali e dell’altissimo senso civico della gente istriana ed il suo ricordo rimarrà indelebile nella memoria di tutti i cittadini di Pola».
Ora anche per merito Di Loreto anche chi andrà ai giardini del pesce si dovrà domandare chi fosse quel Micheletti così tanto rammentato. Ma mai ricordato in comune.