Diciamoci la verità: qualcuno davvero pensava che la difesa della Treofan andasse a buon fine? Jindal, la multinazionale con centro decisionale in India, che a suo tempo la comprò, ha finalmente reso chiaro il motivo dell’interesse per la fabbrica ternana. Quella che inventò e produsse per prima la pellicola per package, che è il core business della Jindal. Voleva togliere di mezzo un concorrente. Al massimo concentrare la produzione italiana nello stabilimento Treofan di Brindisi dopo aver chiuso quelli di Battipaglia e Terni. Era il sospetto fin dall’inizio, per la verità e forse agendo per tempo…
Le trattative sindacali hanno comunque raggiunto un qualche obiettivo. E’ sempre qualcosa. Un anno di cassa integrazione, premi ad uscire ecc. ecc. E’ stato il massimo che si poteva ottenere, hanno detto alcuni dei sindacati. Si, ma ora quella fabbrica è chiusa. Altri posti di lavoro sono spariti. E parliamo di uno degli ultimi anelli di un grande polo chimico nato tra Terni e Narni un secolo e mezzo fa, ormai diventato l’ombra di ciò che fu, inghiottito in gran parte a causa di quel marasma che portò nel 2002 alla fine della chimica italiana dopo quarant’anni di fibrillazioni, di cacce alle alleanze volte soprattutto ad eliminare concorrenti. A ben guardare è il comportamento di Jindal, vent’anni dopo quell’epilogo.
Si sa come sono le multinazionali, come agiscono. Per contrastarle un territorio non ha armi. La ThyssenKrupp, nel 2005 non fece quello che si era prefissa con la produzione del magnetico? E allora ci fu una mobilitazione non da poco: da Terni a Roma passando per Perugia, fino a Bruxelles e ad Essen. Piani, progetti, impegni, promesse. Non si è visto granché. La produzione di acciaio magnetico a Terni e cinquecento posti di lavoro se ne andarono per sempre. Ma almeno non si lasciò niente di intentato.
Proporzioni diverse, certo, rispetto alla Treofan: il magnetico – per l’esattezza – aveva 496 dipendenti, la Treofan 143; in quel caso si intaccava la polisettorialità di una fabbrica e si creavano interrogativi per il futuro, con la Treofan si dà un colpo di grazia ad un settore produttivo in agonia. Ma non è una motivazione che possa giustificare la blanda reazione quasi formale, la mancata mobilitazione che in difesa della Treofan a Terni o in Umbria: qualche roboante dichiarazione del sanguigno assessore regionale allo sviluppo economico, qualche incontro operai-sindaco di Terni, gli incontri al Ministero… Ben altro vigore sarebbe necessario per tutelare un’economia come quella ternana in fibrillazione e non solo a causa della pandemia che ha portato sconquasso dappertutto.
L’Ast sarà ceduta. A chi e come non può deciderlo la città di Terni, è vero. Ma non ha comunque il diritto di vigilare, di provare ad orientare, magari di esprimere valutazioni e persino preferenze? Il sistema delle centrali idroelettriche è stato messo in vendita dalla Erg. Vale lo stesso discorso che per l’Ast sul ruolo che può svolgere la città, il territorio che – evitando termini e concetti duri ormai vetusti – è quello che mette a disposizione le sue peculiarità e ricchezze, siano esse la professionalità, le risorse naturali, il sistema di vita, le ripercussioni ambientali.
Le decisioni che contano vengono prese altrove, lontano da Terni. Ma almeno un sia pur delicato, piccolo pugno sul tavolo potrebbe essere utile, al di là degli effetti immediati che (non) avrebbe. Se non altro come segno di una presenza vigile e interessata, e come rivendicazione di un rispetto legittimo.
C’è qualcuno che parla di tali problemi nella landa sud dell’Umbria? Qualche affermazione generica, e tanto basti. Il che è come reagire ad una buriana sventolando il cartone del calendario. Quando ci si interrogherà su quale futuro debba avere un territorio? E chi, semmai, ne discuterà? Chi proporrà? Perché anche questo è un bel problema! I vertici degli enti, delle istituzioni e associazioni economiche a Terni non esistono più. Mentre la politica continua a dibattere sulle buche lungo le strade o un pezzetto di senso unico; conta di aggredire il settore cultural-turistico attaccandosi a qualche vecchio rubinetto trovato sotto la fontana di piazza Tacito, a una lapide da spostare. Dibatte e litiga ritenendo questione essenziale dedicare una piazza alle mamme e ai papà, o aprire la porta di qualche vecchio appartamento per mostrare il catino usato da qualche vecchio personaggio per abluzioni personali; sborniandosi di piste ciclabili; facendo passare per green economy l’esperimento di mandare gli autobus ad idrogeno e ammorbando – in contemporanea – l’aria cittadina con i gas di scarico dei motori delle motoseghe. Oppure arrivando a dipingere come una grande occasione per l’occupazione e lo sviluppo un intervento di rinnovamento dello stadio con annessi centro commerciale e clinica privata.
Panem et circenses. Ma il rischio è che a fare i circenses alla fine ci si ritrovi senza panem.