Una trentina di persone, non di Terni, ha partecipato sabato pomeriggio a un presidio che si è svolto all’esterno del carcere di Terni, in via delle campore. I manifestanti non si sono fatti riprendere e non hanno rilasciato interviste video, Con un potente altoparlante si sono fatti sentire dai detenuti che hanno risposto con grida e applausi.
Il presidio era stato organizzato dall’associazione “Soloparole” contro il divieto di ricevere libri dai parenti, nè di poterne prendere in biblioteca, per i detenuti in regime di 41 Bis e, in generale contro il carcere duro.
Il 41 Bis è considerato dai manifestanti al pari di una tortura.
“Il 41 bis – scrivono – applica delle condizioni di detenzione che nulla hanno a che fare con la riabilitazione o la rieducazione. Il 41 bis è tortura: un colloquio al mese con i parenti, dietro a un vetro e con un citofono, un’ora d’aria al giorno, dieci minuti di telefonata al mese, in cella 23 su 245, telecamere puntate verso la cella e dentro la cella, nessuna possibilità di cucinare il proprio cibo, processo in videoconferenza, massimo di tre libri in cella … Queste sono solo alcune, tra le più eclatanti, delle privazioni e delle vessazioni cui è sottoposto un detenuto al 41 bis.
Da un po’ di tempo -16 ottobre 2014- anche i libri sono vietati.
L’unico mezzo attraverso il quale il detenuto può avere un libro – aggiungono – è acquistandolo, previa richiesta, attraverso l’amministrazione penitenziaria. Inutile sottolineare che ci debbano essere due condizioni necessarie perché questo si verifichi: la possibilità economica del detenuto ad acquistare e la disponibilità del personale penitenziario a farlo.
Vogliamo portare all’attenzione di tutti – è la conclusione – questa ennesima violazione dei più minimi diritti che si consuma all’interno delle nostre patrie galere.”
E’ stata diffusa anche una lettera di Valerio Crivello, detenuto nel carcere di Terni.
“Io non ho esperienza diretta del 41bis – scrive – ma sono stato sottoposto ad un regime simile chiamato 14bis.
Questo, similmente al 41bis inasprisce il trattamento carcerario limitando al minimo le libertà individuali che vengono oppresse con un controllo continuo ed asfissiante da parte del carcere. Entrambi sono figli di una psicologia repressiva militare ripresa e riammodernata a seconda delle esigenze storico politiche.
Sulla carta il 41bis è volto a impedire il perdurare di legami e collegamenti con l’ “associazione mafiosa” o “terroristica” di cui il detenuto è parte o leader; così nello specifico viene adottato nei confronti di elementi considerati “di spicco” all’interno di un “gruppo criminale”, individui capaci di mantenere una “leadership” e quindi di impartire ordini per il “perseguimento di obiettivi criminali”. E come si esplica nella pratica questo trattamento speciale?
Il detenuto è allocato in sezioni apposite con un limitato numero di detenuti, ognuno ospitato in una cella singola. L’arredamento interno è ridotto al minimo, gli armadietti, per lo più sono privi di ante, possono contenere solo “stretto necessario”, un indispensabile che può essere “contenuto” (non ampliato) a seconda del volere del carceriere e della direzione. Il fornelletto è consentito solo per scaldare le vivande; il detenuto non può cucinare per sé autonomamente anche per questo gli alimenti acquistabili del sopravvitto sono limitati. Nel reparto 41bis le battiture di controllo sulle sbarre della cella sono effettuate con cadenza di 3 al giorno; In casi particolari può essere predisposta la videosorveglianza anche nella cella. Il detenuto può effettuare un solo colloquio al mese di un’ora presso locali appositamente adibiti. Un vetro divisorio impedisce qualsiasi contatto fisico tra famigliari, conviventi e detenuti, ogni conversazione viene registrata. Solo qualora il colloquio mensile non avvenga, il detenuto può essere autorizzato ad una telefonata mensile di 10 minuti. I famigliari possono ricevere la telefonata o presso il carcere più vicino o presso una caserma dei carabinieri. Il “provvedimento” ha durata di 4 anni, prorogabile per periodi consecutivi di 2 anni. In realtà l’eventualità della proroga è la normalità, giacché il tempo non è considerato condizione sufficiente per garantire la rottura dei legami con l’organizzazione. ”
Secondo Valerio Crivello “l’impianto repressivo del 41bis cerca quindi di spezzare la volontà, esasperando l’uomo per spingerlo a collaborare pur di salvarsi da quella che è una tortura psicologica protratta nel tempo; o per instillargli una sorta di “sindrome di Stoccolma”. Per esteso, la “sindrome di Stoccolma” è un complesso di risposte emotive riscontrabili nelle vittime di un sequestro di persona, tra cui l’instaurarsi di sentimenti positivi degli ostaggi verso i sequestratori e, a sua volta, sentimenti negativi degli ostaggi verso chi dovrebbe difenderli. …”
Contemporaneamente a Terni si sono svolti presidi simili davanti alle carceri di Tolmezzo, Milano (Opera) , Cuneo, Parma e Bancali.