DI CHIARA FURIANI
Tom Jones arriva sul palco con passo lento, abbarbicato a un bastone.
Si sistema su uno sgabello, perché la sciatica – dice – gli impedisce di stare in piedi per il dolore.
E già ti aspetti l’ennesimo, stanco concerto dell’artista al capolinea.
Per fortuna, a volte la prima impressione fa cilecca e lo capisci dalle prime note.
Jones ti rapisce subito, con una bellissima ballad autobiografica che racconta la sua vita e i suoi amori vissuti con intensità, senza risparmio.
Un brano dolente e introspettivo, sul genere dell’ultimo, gigantesco, Johnny Cash.
Proprio all’inizio, una clamorosa stecca, ma non mina l’impressione complessiva: il timbro, la grinta, il carisma sono ancora quelli di sempre, anzi, forse le imperfezioni rendono la voce di Jones e la sua statura musicale più interessanti.
A confronto, l’impeccabile tecnica sfoggiata dalla giovanissima Samara Joy in apertura di concerto appare davvero di poco conto.
Messe in chiaro le cose, si parte in quarta e Jones inanella una dopo l’altra le hit di una carriera inaugurata sessant’anni fa.
“It’s not unusual” è del ’65, ma è invecchiata decisamente bene.
E poi la spiritosa “What’s new pussycat”, dalla colonna sonora di un film di Woody Allen e ancora “Delilah”, nota anche nella cover italiana di Jimmy Fontana.
Fino all’immancabile “Sex Bomb”, proposta però in una intrigante versione lenta, molto diversa dall’originale.
Qua e là qualche cover, di Bob Dylan, Cat Stevens e Joe Cocker, scelte e rielaborate con molto gusto.
Di grande livello la band, i raffinati arrangiamenti e la parte video in background.
La voce poi diventa più sicura di canzone in canzone e dove cede – Tom Jones ha pur sempre 82 anni – supplisce con l’espressività e le inevitabili defaillances – come le rughe della Magnani – stanno lì a raccontare una vita.
Ci si avvia verso la conclusione del festival, ma stasera Umbria jazz ci ha regalato un concerto da ricordare.