DI ALBERTO PILERI
Il Coronavirus ha innescato una crisi sanitaria mondiale che in tre mesi ha provocato 70 mila vittime negli USA ( più dei caduti nella guerra del Vietnam ), più di 33 mila in Gran Bretagna, 30 mila in Italia, 28 mila in Spagna, 26 mila in Francia, 10 mila in Germania, generando un crisi economica, industriale, occupazionale, sociale e finanziaria mondiale senza precedenti. Queste le cifre ufficiali al momento comunicate dalle autorità di governo. E non è ancora finita.
Esplosa in maniera dirompente, aggressiva e violenta, l’epidemia ha colto i governi impreparati, a partire da quelli dei paesi occidentali. Si è abbattuta sulla fascia della popolazione più fragile, sottoponendo ad un durissimo stress-test le strutture ospedaliere, sanitarie e di assistenza che hanno saputo resistere a questa terribile onda d’urto pagando un prezzo altissimo. Medici di famiglia, ospedalieri, infermieri, personale ausiliario, farmacisti, volontari e parroci sono caduti sul campo senza appropriate difese come birilli. Una ecatombe!
L’epidemia sembra rallentare. Ma il timore delle autorità sanitarie è quello di ondate di ritorno, di nuovi focolai se non si riuscirà a contenere ed isolare il contagio: con misure di prevenzione – distacco/isolamento sociale, dispositivi di protezione individuali, per il personale sanitario e per quanti sono e saranno chiamati a riprendere il lavoro – ; adeguate terapie di cura, alcune già adottate nelle fase di emergenza; potenziamento delle postazioni di isolamento e rianimazione; campagne di osservazione, monitoraggio e rilevazione del contagio – tamponi – ; la messa a punto di vaccini.
Nel nostro paese l’epidemia ha colpito duramente le regioni settentrionali, la Lombardia che registra più della metà dei decessi, il Piemonte, la Liguria, il Veneto. Ed ancora l’Emilia Romagna, la Toscana e le Marche. Le regioni più avanzate, ricche e sviluppate della nostra penisola. L’ Umbria, il Lazio, l’Abruzzo, le regioni meridionali e le isole sono state risparmiate dall’onda d’urto, il contagio e le perdite di vite umane sono state molto più contenute.
La tragedia ha fatto emergere nell’opinione pubblica – come questione fondamentale e prioritaria per il presente ed il futuro prossimo del nostro paese, come condizione per aiutare una ripresa che abbia il fiato robusto, ossigeno, e lo sguardo lungo – un bisogno ed un desiderio di “più sanità pubblica”.
Accanto ad un sentimento di gratitudine e riconoscenza per l’abnegazione ed il lavoro straordinario di medici, infermieri, operatori sanitari e volontari – considerati angeli ed eroi – i cittadini hanno manifestato alcuni chiari convincimenti:
1- La salute è un bene ad un tempo personale e pubblico. La sanità pubblica va difesa, sostenuta e rilanciata in tutto il paese. Sottratta tanto alle logiche politico/aziendale/affaristico/privatistiche ( do you remember Formigoni? O yes direbbe Enzo Jannacci! ), quanto a quelle politiche dello scambio, delle clientele, contigue al malaffare e alla malavita organizzata, che genera inefficienze e corruzione, preda degli assalti di gruppi di potere locale e regionale.
2- La sanità pubblica rappresenta una infrastruttura fondamentale per la difesa degli interessi nazionali, la crescita e lo sviluppo del nostro paese, per il benessere dei suoi cittadini, per la qualità della vita. Che pertanto vanno potenziate le politiche di bilancio volte ad assicurare le risorse per gli investimenti, soprattutto nel centro-sud dell’Italia per ridurre il divario con il nord del paese ed il pendolarismo della salute, per potenziare le strutture ospedaliere, per macchinari e strumentazioni diagnostiche d’avanguardia, per la formazione ed il reclutamento di medici ed infermieri, per irrobustire la rete dei centri di eccellenza e di ricerca, per innovare e qualificare l’impegno dell’Università, e per la crescita della filiera produttiva delle aziende del settore bio-farmaceutico-medicale.
Che vanno altresì rafforzate le reti della medicina e della sanità territoriale, dei distretti, dei centri salute, delle case della salute, dei poliambulatori di quartiere, ridando centralità ai medici di base, i medici di famiglia, che sono il vero server, il data base, delle informazioni e della conoscenza fisica e psichica del cittadino. Occorre ripristinare la scheda ed il libretto sanitario personale, che può essere sia in formato cartaceo che elettronico. Il medico di base ed il cittadino devono essere messi nelle condizioni di dialogare con il sistema sanitario nazionale.
Per questo obiettivo prioritario il nostro paese deve poter attingere anche ai fondi comunitari, e a quelli del MES dedicati alla sanità, perché 36 miliardi di euro di prestiti – che devono essere negoziati a condizioni vantaggiose per avere bassi bassi tassi di interesse e per tempi di restituzione di lunga durata – non sono bruscolini da buttare, sono indispensabili, necessari ed utili all’Italia per uscire dal baratro.
3- La programmazione, la pianificazione ed il governo della sanità, devono essere ricondotte al livello centrale nazionale: a Roma, al Governo e al Parlamento, che deve avere il primato sulle singole regioni, sia quelle a statuto ordinario che speciale. Rivedendo, è giunto il momento, il titolo V della Costituzione.
L’Umbria, la Città di Terni ed nostro territorio sono state toccate dall’epidemia in maniera più leggera. Siamo stati finora “fortunati”. Diverse le spiegazione: una regione piccola, di 880 mila abitanti, con un bassa densità abitativa 104 ab/km2 ( Terni ha la più alta, 521ab/km2), lontana dalle principali direttrici della mobilità nazionale, dagli scambi produttivi, commerciali e dei servizi. Il sistema della sanità regionale ha retto bene, senza grandi affanni ( i servizi di emergenza intensiva/rianimazione/infettive sono stati impegnati al 50% delle dotazioni) grazie alla solidità della rete ospedaliera e territoriale, alla professionalità e capacità dei medici ed infermieri e allo straordinario impegno del volontariato. Alla tempestiva reazione e risposta sanitaria, ed al comportamento responsabile e virtuoso dei suoi cittadini nel seguire le regole comportamentali del distanziamento sociale e dell’igiene personale. Una popolazione, quella umbra, fra la più longeva d’Italia, dovuta anche alla qualità e stile di vita. Ed anche alla “buona sanità” della nostra regione. Costruita con metodo e pazienza certosina su basi solide a partire dalla Legge di Riforma 833/1978 che istituì il Servizio Sanitario Nazionale ( Ministro della Sanità Tina Anselmi ), passando attraverso lo snodo della Legge 421/1992, con la trasformazione delle USL in Aziende Sanitarie Locale ed il Decreto Balduzzi del 2012. Realizzata attraverso grandi investimenti per costruire il nuovo Policlinico di Perugia, i nuovi ospedali di Foligno, Branca, Orvieto, Pantalla, per corposi interventi di ristrutturazione ed adeguamento, come a Terni, alte specialità, servizi di medicina territoriale, di prevenzione, di assistenza domiciliare. Da più di un lustro la Sanità della Regione Umbria fa parte del ristretto gruppo di regioni italiane che sono di riferimento per i livelli di lea, di prevenzione e di gestione dei servizi sanitari. E per la salute del suo bilancio.
Non è che le criticità non siano presenti: la prima riguarda il fatto che essendo la sanità la principale attività in capo alle regioni, quella che gestisce l’80% del bilancio, è ipso facto un vero e proprio centro e snodo di relazioni di potere di diversi ambienti. I problemi riguardano le liste di attesa, l’opacità dei rapporti con l’Università degli Studi di Perugia e la Facoltà di Medicina e Chirurgia, soprattutto per gli incarichi e le nomine dei primari delle aziende ospedaliere; rapporti, a volte patologici, fra ambienti politici, livelli istituzionali di indirizzo, governo e controllo, direzioni sanitarie, e le nomine nelle funzioni apicali. Doppioni e scarsa integrazione fra Aziende ASL ed Aziende Ospedaliere. Gli appalti per la fornitura di beni e servizi, le carriere , ed altro ancora.
Per le inchieste della Procura della Repubblica di Perugia, relative alle modalità di svolgimento di alcuni concorsi nella sanità che sarebbero stati pilotati, è caduta un anno fa la Presidente e la Giunta Regionale di centro sinistra.
Il governo regionale in carica, uscito dalle elezioni anticipate regionali che si sono svolte a fine ottobre ottobre 2019, sostenuto da una coalizione di destra-centro, ha ereditato e preso in carico la gestione del Servizio Sanitario Umbro. Ne deve avere grande cura e riguardo per mantenerlo e rafforzarlo, senza ambiguità e tentennamenti, facendo le dovute manutenzioni ed apportando le necessarie innovazioni. Ne porta la responsabilità. Se vuole cogliere lo spirito del tempo dovrebbe in primo luogo avere il coraggio di ripensare e rivedere gli indirizzi politico-programmatici presentati in consiglio regionale, laddove si propone per la sanità della nostra regione la presenza di più privato sul modello lombardo. No il modello lombardo non è proprio quello adatto alla nostra regione e all’Italia. Per diverse motivazioni: in primo luogo perché si è rivelato inadatto, inadeguato, inefficiente, strutturalmente impreparato a gestire la crisi dell’emergenza sanitaria. Perché buca la medicina territoriale, perché non protegge gli anziani delle rsa.
Quello che il corona virus ci ha insegnato, che i cittadini italiani hanno appreso molto bene, è che siamo entrati in una stagione, in un tempo terribile della nostra esistenza e vita sociale, in cui ci si salva se c’è solidarietà e se siamo uniti come paese, Nord-Centro e Sud., se si costruiscono relazioni, non se ci si chiude e ci si divide. Non se ogni regione e città va da sola per la propria strada. Altro che chi fa da sé fa per tre, come teorizza qualche autorevole opinionista. Da sola l’ Umbria non va da nessuna parte. Così come l’Italia. Di quali risorse possiamo disporre, contare e mobilitare per affrontare gli enormi problemi che abbiamo davanti, tanto per la sanità quanto per il rilancio del sistema economico, produttivo, sociale, per superare il deficit di infrastrutture materiali ed immateriali, senza un dialogo, cooperazione, la ricerca di intese e convergenze con il livello nazionale ed europeo? Dove attingere i finanziamenti. E con quali programmi, progetti ed accordi ? Con quelli che gestiscono le cliniche private, le rsa e segmenti dell’informazione? Fidando sulla bontà di qualche mecenate illuminato? E’ sufficiente?
Alcune proposte e suggerimenti per il futuro prossimo della sanità regionale:
– avviare il processo di adozione del nuovo piano sanitario regionale, chiamando a partecipare le forze politiche, le città, gli operatori sanitari, le forze sociali, il volontariato;
– rafforzare i servizi di medicina territoriale, rimotivando la missione dei medici di base e coinvolgendo i comuni;
– favorire la partecipazione attiva dei cittadini, attraverso l’istituzione e la nascita di vere e proprie case territoriali della salute;
– campagne di informazione ed educazione sanitaria mirate alle scuole, ai giovani e agli anziani;
– ripensare e ridefinire i rapporti con i privati presenti nella nostra regione per costruire un patto per la salute;
– valorizzare ed estendere le esperienze del welfare sanitario aziendale ( si pensi a quello “storico” delle Acciaierie di Terni ) coinvolgendo le medie e grandi aziende e le Organizzazioni Sindacali;
– definire la nuova convenzione fra Regione Umbria ed Università degli Studi di Perugia per quanto concerne le modalità di gestione delle Aziende Ospedaliere di Perugia e di Terni ed il coinvolgimento e le responsabilità della Facoltà di Medicina e Chirurgia ( nei giorni scorsi è stata decisa la ristrutturazione passando da 3 Dipartimenti ad un solo Dipartimento );
– potenziare la funzione, i compiti e la presenza del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia della sede di Terni;
– portare avanti senza indugi e ripensamenti la realizzare del nuovo ospedale di Narni-Amelia;
– dare una prospettiva al Centro di Ricerca sulle Cellule Staminali del Professore Vescovi;
– potenziare e rafforzare il Polo di Innovazione di Genomica Genetica e Biologica di Terni, il piano di ricerca “Gene Drive” per la lotta alla Malaria, finanziato anche dalla Fondazione di Bill e Melinda Gates. Il Centro ideato e progettato dal Prof. Andrea Crisanti. sostenuto dal Comune di Terni fin dal 2006. Per aver dato il sostegno finanziario a questo progetto, mediante l’emissione di BOC, nel 2007 la Giunta Municipale ed consiglieri comunali di maggioranza furono indagati, rinviati a giudizio dalla Procura della Corte dei Conti Regionale. Ricercatore di fama mondiale dell’Imperial College, Grisanti è stato dichiarato decaduto nel 2015 dall’Ufficio di Professore Ordinario del Dipartimento di Medicina sperimentale con decreto del Rettore dell’Università di Perugia. Si tratta della stessa persona chiamata dall’Università di Padova e dall’Azienda Ospedaliera di quella città, che ha lavorato in questi mesi per mappare i portatori del contagio. Ne ha tratto beneficio Padova , il Veneto e l’Italia. Il Nuovo Rettore dell’Università di Perugia, la Presidente della Regione Umbria ed il Sindaco di Terni che pensano a tal proposito? Qual’è il destino del Polo di Genomica? Avrà ancora un futuro?
Nel concludere mi piace richiamare le parole di una Donna, Medico Dirigente dell’Azienda Ospedaliera di Terni, sempre in prima linea nell’attività ordinaria, tanto più in questa dell’emergenza virale, che nel raccontare il lavoro di questi momenti difficili ed impegnativi, si esprime con efficace semplicità: “ a Terni, ed in Umbria, le terapie che seguiamo per curare i pazienti covid sono le stesse che vengono impiegate a New York”.
Bellissima , fantastica e piena di speranza questo accostamento: Terni e l’Umbria come New York.
E allora, arrivederci/benvenuti in California ! (all’ingresso della città, fra viale Borzacchini, viale dello Stadio, viale di Porta Sant’Angelo, alla rotonda sovrastata dalla scultura in acciaio corten dell’artista Miniucchi, un tempo c’era questa scritta, poi cancellata).
L’AUTORE E’ ESPONENTE DI LIBERTA’ EGUALE ED E’ STATO ASSESSORE AL COMUNE DI TERNI