Sul dissesto finanziario che investe il Comune di Terni, registriamo l’intervento del dottor Raffello Federighi, membro del comitato regionale di Forza Italia , il quale sostiene che “il provvedimento del Comune impoverisce la città e i cittadini, presto ci saranno altri debiti fuori bilancio. Il commissario è l’unica soluzione”.
QUESTO IL TESTO INTEGRALE DELL’INTERVENTO DI RAFFAELLO FEDERIGHI
Recentemente, il Comune di Terni ha dichiarato lo stato di pre dissesto, ammettendo debiti fuori bilancio per circa quindici milioni di euro. Considerato che non si sono visti migliaia di cittadini protestare in piazza su un danno economico che graverà, inevitabilmente, su di loro per gli anni a venire e che gli amministratori pro-tempore, con innegabile aplomb (faccia tosta?), minimizzano e anzi si autoincensano per la pretesa trasparenza, sarà forse cosa utile, nell’interesse generale, cercare di fare un poco di chiarezza.
Prima di tutto, il pre dissesto si chiama “ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale” ed è stato introdotto con la Legge 215 del 2012.
Sostanzialmente, è uno strumento atto a garantire la funzionalità dell’ente pubblico (tale è il Comune) in difficoltà economica. In pratica, è una soluzione soft al temibile default, ovvero al fallimento. Accade che il Comune, che ha debiti non gestibili con gli strumenti di bilancio ordinario, ammette di non essere in grado di fare fronte alle proprie obbligazioni finanziarie e dichiara il pre dissesto che, evidentemente, è una sorta di concordato preventivo, poiché protegge l’ente pubblico dalle azioni esecutive dei creditori (pignoramenti, sequestri, ecc.), situazioni già realizzatesi nella nostra città.
E’ una soluzione accolta allegramente dalle tante amministrazioni italiane (il caso Terni non è certo isolato) che, per mala gestio ed evidente inadeguatezza alla funzione, indebitano l’ente pubblico loro affidato, per effetto di scelte elettorali forse non del tutto lungimiranti, perché evita loro il fallimento, il ricorso alla gestione commissariale e il ritorno rapido alle urne, consentendo così ai cittadini di esprimere democraticamente il loro giudizio sull’accaduto, evento questo, a tutti i livelli, sempre meno gradito, con buona pace della democrazia.
Se questo escamotage è giuridicamente possibile è però lecito formulare alcune considerazioni. Certamente non è una procedura indolore per i cittadini, poiché comporta un’inevitabile elevazione delle aliquote e delle tariffe dei tributi locali, oltre a impoverire la proprietà pubblica, perché tale procedura non consente di fare ricorso a mutui per ripianare il buco di bilancio, bensì occorre farvi fronte con le risorse dell’amministrazione, ovvero cedere proprietà. Infatti il Comune di Terni parla di vendere le Farmacie Comunali, quote di società partecipate (30 % di ASM) e altri capolavori di finanza contabile, definibile come altamente creativa…
Se quella sopra descritta è la situazione a valle, forse il lettore vorrà capire, a monte, cosa è realmente successo. Orbene, il Sindaco e la Giunta di Terni, previa la necessaria delibera del Consiglio Comunale, fino a pochi giorni fa all’oscuro, o meglio, tenuto all’oscuro della grave situazione, dichiarano il pre dissesto e lo giustificano sostenendo che sono emersi debiti fuori bilancio per circa quindici milioni di euro, salvo migliori conteggi. I debiti in questione, dicono con aria offesa, non sono certo soldi che si sono intascati, no certamente, sono soldi impiegati per le mense scolastiche e altre necessità impellenti.
Occorre però rammentare, ai cittadini non addetti ai lavori, che il Comune vota annualmente un bilancio, preparato e sottoscritto dai propri dirigenti. formalmente certificato dai Collegio dei Sindaci Revisori e dalle Società di revisione, nel quale si dichiara che non esistono debiti fuori bilancio. Quindici milioni di debito non si realizzano certamente in pochi mesi, quindi è facile intuire che le fatture delle società creditrici siano arrivate recentemente, ma siano riferibili a prestazioni di anni addietro e misteriosamente tenute nei cassetti fino al momento in cui la situazione è diventata ingestibile.
Ciò è indubbio, perché, nonostante le minimizzazioni, quando le amministrazioni gestiscono male i beni loro affidati, si genera inevitabilmente una catena sinergica di eventi disastrosi. Le aziende che forniscono servizi non vengono pagate e rischiano il fallimento, l’ente pubblico, per evitare a sua volta il fallimento, dichiara il pre dissesto, che comporta, per farvi fronte, la cessione di parti del suo patrimonio e l’aumento dell’imposizione erariale, impoverendo così, in una terribile spirale recessiva, il patrimonio dell’ente e i cittadini da questo sciaguratamente amministrati.
Ma, in pratica, cos’è un debito fuori bilancio? L’art. 191, commi 1-3 del D. Lgs 267/2000 lo descrive come “un’obbligazione maturata senza che sia stato adottato il dovuto adempimento per l’assunzione dell’impegno di spesa”. Acclarato quindi che un Comune può effettuare spese solo se sussiste preventivamente la copertura contabile (ovvero se ci sono risorse disponibili), nel caso di specie, le mense non sono un impegno imprevisto o imprevedibile e andavano logicamente computate anche nel bilancio previsionale, né, si ripete, appare credibile che tale spesa sia maturata durante l’ultimo bilancio, a monte del quale si è dichiarato che non esistevano debiti fuori bilancio.
Quindi, o dirigenti, sindaco, giunta e revisori hanno mentito, nel qual caso esiste il rimedio della responsabilità personale per danno erariale, di competenza della Corte dei Conti, o tali debiti sono stati colpevolmente occultati con indebite pressioni, nel qual caso la competenza accertatoria passa alla Magistratura penale.
Prima di avviarci a conclusione, ci sia consentito esprimere qualche comprensibile dubbio sull’entità del debito dichiarato. E’ fondata convinzione che esso sia solo un’anteprima di una situazione da molti sospettata come ben più grave. Occultata dai responsabili e sottaciuta dai media, per esempio, sta emergendo una pesante situazione debitoria anche per un’altra società partecipata dal Comune di terni, ovvero la Umbria Servizi Innovativi s.p.a., per la quale il liquidatore, affermando di ritenere grave il comportamento del socio Comune di Terni, si dimette dalla carica e anche in tale caso si delineano situazione debitorie ingestibili per milioni di euro.
In realtà, appare lecito sospettare che quanto emerso e sta emergendo, con la mina vagante dei cosiddetti derivati, l’entità dei quali è uno dei segreti meglio conservati della storia recente, costituiscono soltanto la punta di un iceberg di dimensioni colossali, di cui presto verremo portati a conoscenza e non è certamente consolante annotare che in condizioni similari versano Regione e Governo Nazionale. Quest’ultimo tecnicamente fallito, anche se si persiste a non volerlo ammettere, registrando un debito di 2300 miliardi di euro che, solo per interessi passivi ne genera ulteriori cento miliardi annui, a fronte di finanziarie lacrime e sangue che, nonostante abbiano giù depresso l’economia e i cittadini, non possono superare i 60-70 miliardi complessivi.
In ogni caso, sussiste, grande come una casa (una casa di grandi dimensioni!), la responsabilità politica, anche se essa sembra ormai desueta o sconosciuta, poiché ciò che è accaduto riguarda un’amministrazione a metà del secondo mandato, quindi temporalmente del tutto responsabile dei fatti che hanno provocato il dissesto e appare singolare che, per un preteso, ingiustificato e distorto senso di responsabilità, chi ha provocato il disastro, pretenda di gestirlo e rimediarlo.
In effetti, malgrado i contorsionismi affabulatori e la spericolata memoria del “divide et impera”, nel caso di Terni, non dovrebbero esistere opposizioni responsabili o meno, perché chiedono, con toni diversi, le dimissioni dell’attuale amministrazione, bensì ci si aspetterebbe che un’amministrazione comunale, evidentemente colpevole di un tale disastro finanziario, ne prenda atto, chieda scusa e consegni subito la città nelle mani di un Commissario Prefettizio che, stabilizzata la situazione, dia la parola ai cittadini, loro sì vittime incolpevoli, di amministrazioni che definire tecnicamente incapaci sembra quantomeno incontestabile.
Per finire, ai giustizialisti di antica data o, per convenienza, dell’ultima ora, che invocano sfracelli giudiziari e tintinnii di manette, rammento le sagge parole di un anziano parlamentare della tanto vituperata prima repubblica, il quale sosteneva, non del tutto a torto, che la politica, non si fa nelle aule di un Tribunale e se non si vuole dare credito a questi, per la “damnatio memoriae” in atto, allora si mediti su Solone che, obiettivamente non di parte, molti secoli fa, profeticamente scriveva: “La giustizia è come una tela di ragno, trattiene gli insetti piccoli, mentre i grandi trafiggono la tela e restano liberi”.