Chi saranno i candidati alla presidenza della Regione Umbria? E soprattutto: chi vincerà? La Lega che considera di avere già in tasca il risultato che le consentirà di “liberare l’Umbria”? Oppure quegli altri, tonificati da un accordo elettorale con i 5Stelle? Una donna o un uomo? Un candidato che piace ad un’organizzazione o ad un’altra; a una formazione politica o ad un’altra?
Chiunque sia, chi vincerà queste elezioni lo sa quale “crostino” dovrà sgranocchiare? Che propone per le emergenze umbre? Quali interventi tra i tanti necessari intende privilegiare, posto che tutto insieme non si può fare?
E’ solo una parte degli interrogativi che in Umbria ci si pone. Bastano comunque ad alimentare un clima d’incertezza. Come se non fosse già sufficiente il senso di precarietà del quadro politico italiano, che gli avvenimenti di agosto non hanno spazzato.
Proprio l’incertezza sembra essere uno dei freni che più impastoiano l’economia umbra. Ci sono stati segnali di ripresa in Italia nel 2018. Niente di esplodente, d’accordo. Ma in Umbria anche quei segnali sono “fiacchi” rispetto al resto del Paese. Testimonia la Banca d’Italia. “L’Umbria, una tra le regioni più pesantemente colpite dalla crisi economica e finanziaria, mostra difficoltà anche nella fase di ripresa”. E non si tratta, ovviamente di una sensazione. La Banca d’Italia questo giudizio lo esprime nella relazione di sintesi che accompagna il rapporto annuale dell’economia dell’Umbria elaborato sui dati relativi al 2018 e reso noto lo scorso giugno. “Nel 2018 l’attività economica umbra ha continuato a crescere a un ritmo modesto, ancora inferiore a quello dell’Italia. All’ulteriore espansione delle esportazioni si è contrapposto l’indebolimento di consumi e investimenti”.
I punti dolenti? “Bassa produttività del lavoro e contenuto grado di innovazione delle imprese”. Fatto uguale a 100 il valore aggiunto dell’Italia nel 2018, l’Umbria si attesta a quota 86 (Dati Istat-Confcommercio). Sì, c’è stato un aumento delle esportazioni (8,7 l’aumento del valore) più alto della media italiana (3,1), sono diminuite fortemente le ore di cassa integrazione (quasi del sessanta per cento rispetto al 2017), il tasso di disoccupazione della popolazione tra 15 e 64 anni, è al 9,2% (Italia 10,6) il tasso di occupazione è del 63% (Italia 58,5).
Si tratta di dati così positivi come sembrano? Tanto per dirne una, sui numeri dell’occupazione quanto giocano i contratti “atipici”, o quelli a termine?
Dice l’Ires Cgil, ad esempio, che “anche quando il lavoro c’è, è scarsamente retribuito e in quanto tale non può contribuire alla crescita dell’Umbria” e i dati che accompagnano questa affermazione riferiscono che “la retribuzione per dipendente in Umbria corrisponde a 22.719 euro lordi annui. Tenendo conto che in Italia la cifra corrispondente è 25.952, ne consegue che in Umbria i salari sono inferiori del 12,46%”. E si parla di ccupati “pieni”. C’è un altro dato che la Cgil non si stanca di ripetere e che appare di per sé significativo: dall’inizio della crisi internazionale (2008) il Pil umbro è diminuito di 17 punti.
Il quadro d’insieme riferito al 2018, così come rappresentato dal rapporto della Banca d’Italia è comunque il seguente: dopo due anni di calo la produzione agricola si è stabilizzata, ha invece rallentato quella industriale. Vivaci i settori produttivi cui ha giovato l’export (alimentare, abbigliamento, siderurgia). Bloccata la crescita degli investimenti. Il comparto delle costruzioni ha avuto un qualche giovamento dalla ricostruzione post-terremoto e da una lieve vivacità del residenziale e delle opere pubbliche, ma viene da anni di crisi profonda con calo delle imprese pari ad oltre il 40%. Difficoltà per il commercio, in seguito alla contrazione dei consumi delle famiglie, ma anche per la necessità di riorganizzazione del settore. Si tratta solo di alcune “fotografie” che illustrano una situazione complessa, bisognosa di provvedimenti rapidi e strutturali. Ecco. Nella campagna elettorale la curiosità degli umbri è incentrata, probabilmente, anche su questo: sapere cosa si propone di fare chi chiede fiducia.