“Forse non è troppo tardi”. Conclude con queste parole le sue riflessioni sul voto che domenica scorsa ha cambiato radicalmente lo scenario politico in Umbria, l’ex assessore alla cultura del Comune di Terni, Giorgio Armillei. Il “forse non è troppo tardi” è evidentemente riferito a coloro che non si sentono rappresentati nei due schieramenti, soprattutto all’indomani della liquefazione di Forza Italia e della sconfitta dell’area liberal-riformista del PD.
DI GIORGIO ARMILLEI
Vale la pena cominciare ricordando che domenica scorsa si è votato in Umbria per eleggere Presidente e Consiglio regionale. E che dunque il risultato è anche e forse in primo luogo un giudizio senza appello sulla Giunta Marini Paparelli che ha governato negli ultimi quattro anni. Incapace di contrastare il declino, soprattutto a proposito di ricerca e innovazione; centralista in perfetta continuità con le Giunte Lorenzetti che quel declino negarono oltre l’evidenza; priva di slancio sul tema cruciale dell’industria culturale e creativa; ostile rispetto ad ogni tentativo di protagonismo delle aree urbane, quella ternana in primo luogo; instancabile nell’uso distributivo e assistenziale delle politiche di sviluppo locale. Forse l’esperienza di governo regionale più deludente degli ultimi venti anni.
C’è pero sicuramente dell’altro che giunge a sintesi elettorale in Umbria ma scaturisce da influenze politiche e mediatiche nazionali. C’è lo smottamento dell’elettorato del M5s che in parte va a rafforzare il sovranismo leghista, a conferma dell’ampia area di sovrapposizione tra Lega e M5s, e in parte torna o ritorna nell’area dell’astensione. Un buon 30% degli elettori M5s finisce infatti in astensione ma non bisogna sottovalutare quel 18% che viene traghettato verso la Lega a fronte del modesto 9% che va o torna nel PD.
C’è il PD ormai dedito solo alla difesa del suo fortino, lontano anni luce non solo dai risultati del 2014-2015 ma anche dalla vocazione maggioritaria di Veltroni. Il PD zingarettiano che parte per recuperare gli elettori del M5s ma finisce con l’esserne una specie di succursale un po’ più moderata. Un abbandono della vocazione maggioritaria che costa al PD qualcosa come il 20% del suo elettorato. Un 20% che si rifugia nell’astensione non trovando un’offerta politica liberale riformista, da sempre minoritaria in quel partito e ciò nonostante per la breve stagione renziana singolarmente egemone.
C’è la scomparsa di Forza Italia che paralizzata dall’ondata leghista, ossessivamente abbracciata al vecchio ritornello del nemico a sinistra, incapace di cogliere la novità del modello Van der Leyen, perde definitivamente, per effetto del sorpasso di FdI, anche l’ultimo possibile ruolo, quello di junior partner dotato però di un robusto potenziale di coalizione.
La combinazione del declino con i riflessi locali dei riposizionamenti politici nazionali chiude definitivamente la lunga stagione del modello umbro, ben al di là delle intenzioni di governo dei vincitori e del voto degli elettori. Ma non è per niente certo che quella che si apre sia una fase posta sotto il segno della discontinuità amministrativa. L’Umbria resta troppo piccola, troppo dipendente dall’intermediazione della mano pubblica, troppo seduta sull’illusione di una continuità già da tempo smentita dai fatti. Al netto di ogni alternanza politica. E Terni che pure è la decima area urbana integrata dell’Italia centrale per dimensioni demografiche, ha un interesse vitale a smontare questo modello di regionalismo, a sfruttare altri corridoi territoriali, a costruire nuove reti. Ci sono elettori, imprese, organizzazioni che aspettano non inoperosi. Forse non è troppo tardi.