DI RAFFAELLO FEDERIGHI
Ci sia consentito, solo per realtà storica, rammentare che quanto sostenevamo ai primi di marzo, ora è condiviso da personaggi molto più importanti di noi, che forse hanno espresso il loro pensiero in maniera non tempestiva.
Giova precisare che esprimevamo dubbi sulla pandemia di coronavirus, giudicando come informazioni di regime i dati sulla sua letalità che venivano diffusi. Abbiamo aspramente criticato la susseguenza dei decreti del Presidente del Consiglio con i quali si sospendevano libertà fondamentali. Abbiamo messo in guardia sugli effetti pericolosi che la strategia di contenimento avrebbe provocato sul sistema economico. È tutto contenuto negli articoli a nostra firma che sono stati pubblicati (Coronavirus: io resto a casa, ma…, Coronavirus: non sta andando tutto bene; Coronavirus: domande a cui non rispondono).
A distanza di circa tre mesi, la realtà comincia a trapelare. l’Istat ha pubblicato le statistiche trimestrali sui decessi: confrontando il periodo gennaio-marzo 2019, con quello di gennaio-marzo 2020, i morti in Italia sono stati circa ventimila in meno. Nonostante la colpevole confusione tra persone morte con coronavirus, ma affette da altre gravi patologie pregresse e quelle realmente decedute per coronavirus, l’Istituto Superiore di Sanità ci conferma che il suo tasso di mortalità è inferiore al 2% e che le precedenti epidemie influenzali annuali hanno provocato un numero di decessi inferiore. In realtà il Governo ha messo in atto la strategia di contenimento soltanto perché i posti in rianimazione erano molto pochi (meno di diecimila) e poiché il coronavirus è un’epidemia influenzale molto trasmissibile, per la quale non c’è vaccino e la popolazione italiana è molto anziana, ciò che spaventava era la saturazione dei posti in rianimazione, come drammaticamente è avvenuto, obbligando a ricorrere al triage (scelta su chi curare e chi lasciare morire) già ai primi di marzo. Ma il numero insufficiente di posti in rianimazione è una grave carenza di politica sanitaria, non certamente una sfortuna.
Sul ricorso ai DPCM per sospendere libertà fondamentali come il diritto a muoversi liberamente sul territorio nazionale, il diritto al lavoro, il diritto a curarsi liberamente, il diritto a riunirsi ed esprimere il proprio dissenso, evocando oltretutto la sciocchezza di una guerra in atto, dopo di noi si sono espressi eminenti costituzionalisti ed esperti di diritto, tra i quali Sabino Cassese, già Presidente della Corte Costituzionale. Essi hanno stigmatizzato come i decreti del Presidente Conte siano semplici atti amministrativi, che non possono né sospendere né modificare norme della Costituzione o articoli di Legge. Hanno chiarito che il contrasto ad una epidemia è cosa ben diversa dalla deliberazione dello stato di guerra, compiutamente regolamentato dall’art. 78 Cost., mettendo infine giustamente in dubbio l’effettiva conclusione di studi giuridici da parte di sedicenti esperti della Presidenza del Consiglio.
Sempre noi, abbiamo subito sostenuto che lo slogan “prima la salute poi l’economia” fosse una solenne castroneria, poiché senza un’economia sana il sistema sanitario nazionale collassa, provocando un numero di morti ben superiore a quello di qualsiasi epidemia. Similmente, è una follia pensare di fermare il sistema economico e poi riavviarlo, perché esso è circolare e interconnesso. I recenti dati macroeconomici sono di drammatica gravità. Il PIL che a gennaio 2020 era +0,1%, ora è previsionalmente precipitato a -15%, Ficht ci ha declassato a BBB-, livello oltre il quale non potremo più vendere i nostri titoli di stato sul mercato primario e a oggi si stima che circa un quarto delle imprese (il vituperato popolo delle partite IVA) potrebbe fallire.
Questi sono i dati, oggettivi, asettici, pubblici, non suscettibili di alcuna seria confutazione. Siamo stati accusati di fare esami patologici a posteriori senza proporre cure. E’ una critica non seria, perché compito dell’informazione è valutare ciò che viene posto in essere, esprimendo, se necessario, dubbi e critiche costruttive; solo chi ha responsabilità istituzionali possiede le informazioni riservate con le quali prendere decisioni strategiche. Quelle che si stanno accingendo a prendere ulteriormente potrebbero compromettere il futuro stesso della nazione, facendoci passare da un problema sanitario affrontato molto male ad un’emergenza economica con conseguente dissesto sociale.
Il Governo non concede libertà, si limita a riconoscerle e a tutelarle, non manipola dati per nascondere le proprie manchevolezze, dice la verità al suo datore di lavoro, ovvero il popolo sovrano, non decide chi muore economicamente prima, seguito inevitabilmente a ruota da tutti gli altri, salvo pochi privilegiati, promuove il benessere e tutela il lavoro, così come prevedono gli artt. 1 e 4 della Costituzione. Piaccia o meno, ci sono valori assoluti come la libertà e il diritto al lavoro che, oltre a non essere contrattabili, non possono essere sottoposti a valori relativi come la sicurezza pubblica o quella sanitaria. Confutare questi principi di civiltà giuridica per fatti contingenti significa scardinare, forse irrimediabilmente, le fondamenta di uno stato democratico.
La fase di contenimento deve essere rapidamente superata, perché ormai è chiaro che con il coronavirus ci dovremo convivere a lungo, le aperture devono essere effettuate in sicurezza ma con coraggio, tenendo conto delle differenze sanitarie tra i vari territori. Le richieste fiscali vanno cancellate, perché chi non ha potuto lavorare non può pagare le tasse. L’economia deve essere sostenuta, limitando al massimo la burocrazia e smettendo una volta per tutte di dipingere l’imprenditore come un nemico del popolo, perché il benessere di una nazione nasce dall’impresa, dal commercio, dall’artigianato, dall’agricoltura, dal terziario, in una parola, da chi realmente lavora e produce e ha tutto il diritto di guadagnare, senza essere depredato da uno stato incompetente e incapace.
Caro Presidente Conte, così stanno le cose, smetta di pensare a colpetti di stato (citando Porro), smetta di vedersi come Churchill (citando lei stesso), perché non ne ha la statura, sciolga le innumerevoli task force che ha creato. Molti italiani non scaricheranno la app Immuni, ideata dal suo sodale Colao, già amministratore di Vodafone, perché si rifiuteranno di farsi ulteriormente e meglio tracciare da entità malevoli e non si faranno iniettare docilmente vaccini proposti da potentati farmaceutici (di cui era al soldo il suo consulente Ricciardi, recentemente dimessosi per evidente conflitto d’interessi), soprattutto se non ci sarà un’autorità indipendente ed affidabile che dica loro cosa esattamente contengono (il Parlamento ha recentemente scoperto che vaccini polivalenti includono dna di topo, residui di feti, sostanze sconosciute, tossine e alluminio).
Lei, per gli eccepibili disegni di cui è portatore (shock economy, svolta autoritaria, sorveglianza mediante tracciamento, vaccinazione generale, diffusione indiscriminata della rete 5G), fortunatamente non ha potuto usare la leva penale (abolita dopo circa dieci giorni perché incostituzionale), né l’Esercito (perché forse non le è stato consentito). Gli enti territoriali più a contatto con i cittadini disattendono le sue disposizioni. Ora non può distribuire soldi perché non ne ha, salvo che indebiti ulteriormente l’Italia con usurai internazionali. L’ultima sua uscita, in evidente stato confusionale, è l’invito alle banche, come unilaterale atto d’amore, affinché diano sodi agli italiani, gli stessi che lei ha ristretto agli arresti domiciliari, impedendo loro di lavorare. Ci dia retta, il vero atto d’amore è prendere atto dei fallimenti accettandone le inevitabili conseguenze. Se ne faccia una ragione: vogliamo essere di nuovo liberi!
L’AUTORE E’ PRESIDENTE DI UNARIF