Sono state colleghe di lavoro a fotografarla mentre partecipava a una serata “mondana”, un giovedì, al “Ronnie Scott’s”, di viale Curio Dentato (che ora non c’è più, al suo posto è sorto un ristorante giapponese), mentre era in “malattia”. In base a quelle foto la COOP di via Gramsci, a Terni, dove lavorava, l’aveva licenziata in tronco.
Alla dipendente, Sabrina Granati , la COOP , motivando il licenziamento, aveva ” chiaramente spiegato che la sua frequentazione di un certo locale ternano adibito a ristorante e discoteca, per tre serate debitamente specificate era considerato sintomo di capacità lavorativa e perciò rendeva illecita la sua assenza dal servizio con relativa trasmissione dei certificati medici.”
Alla Granati era stata diagnosticata, inizialmente una forma di “lombosciatalgia”, per la quale era addirittura svenuta sul posto di lavoro. Il giorno successivo la sua medico curante, la dottoressa Petrucci, le aveva diagnosticato una “Lombalgia cronica o sindrome da lombalgia cronica” aggiungendo, peraltro, un “disturbo di panico senza agorafobia” e, successivamente, anche una “depressione maggiore, episodio singolo” tanto che le fu prescritta una terapia di farmaci ansiolitici.
La stessa dottoressa Petrucci, ascoltata dal giudice Marco Medoro, ha affermato di aver consigliato alla paziente “di reagire, di evitare ogni forma di ritiro sociale e di rimeditare sempre sulle stesse cose; invitai la paziente ad uscire come del resto faccio con tutti i pazienti che soffrono di depressione, comprese le persone anziane”.
Questo lo stato dei fatti.
Secondo il giudice, la COOP che aveva fatto ricorso contro l’opposizione al licenziamento avanzata dalla Granati, “non ha assolto l’onere – sullo stesso pacificamente gravante – di dimostrare l’insussistenza della malattia denunciata e certificata dalla lavoratrice: la simulazione dello stato di depressione non emerge, infatti dal fatto che questa abbia frequentato un locale notturno e ciò rende il caso di specie diverso – tanto per riecheggiare gli esempi della casistica più comune – da quello del lavoratore assente dal servizio per lombosciatalgia che venga colto nello svolgere attività sportiva o lavori domestici fisicamente impegnativi o che venga trovato impegnato nell’espletamento di altra attività lavorativa incompatibile con le ragioni di salute denunciate nell’ambito di altro rapporto di lavoro dal quale si è nel frattempo assentato.”
“Il ricorso va, quindi, integralmente rigettato – precisa il giudice – sia nella parte in cui si chiede di dichiarare legittimo il licenziamento sia nella parte in cui si invoca il risarcimento dei danni conseguenti.” Anzi, è la COOP stessa che è condannata al reintegro della dipendente sul posto di lavoro e al pagamento degli stipendi arretrati non percepiti e alle spese legali.
Scrive infatti il giudice: “dichiara illegittimo il licenziamento intimato dalla ricorrente alla resistente e, per l’effetto, condanna la prima a reintegrare la seconda nel posto di lavoro e a corrisponderle, per i titoli di cui in motivazione, la somma lorda di € 11.539,58, da maggiorarsi con interessi legali e rivalutazione monetaria decorrenti dalla data del licenziamento del 2.3.2015 al saldo; condanna la ricorrente a versare i contributi previdenziali ed assistenziali relativi alla posizione della resistente dalla data del licenziamento all’effettiva reintegra, maggiorati dei soli interessi legali e senza applicazione di sanzioni civili;condanna la ricorrente a rifondere alla resistente le spese di lite della presente fase, che qui si liquidano nella somma di € 5.000,00 per compenso professionale”.