Di Chiara Furiani
Con quel poco che ci è stato concesso di seguire è ben difficile dare un giudizio complessivo sul festival di Spoleto di quest’anno.
Ma i numeri parlano da soli.
Monique Veaute, direttrice artistica che per scelta del ministro della cultura con questa edizione lascia il testimone a qualcun altro – su un ipotetico nome nulla ancora trapela – ha coronato la sua quinquennale gestione della manifestazione spoletina come meglio non si poteva.
Tanti i sold out, e con questi chiari di luna non è affatto poca cosa, per un numero complessivo di biglietti venduti davvero importante: 31mila per 925mila euro d’incasso.
Notevoli gli artisti in calendario poi, dalla produzione Berliner Ensemble – un nome, una garanzia – che gia con la precedente gestione di Giorgio Ferrara ha lasciato più di un bel ricordo, tra cui una memorabile “Opera da Tre Soldi” per la regia di Bob Wilson.
Ma forse il colpo veramente grosso di Spoleto 68 è stato accaparrarsi la presenza di William Kentridge, che peraltro ha regalato al festival un vero pout pourri del suo multiforme talento.
Suo il bellissimo manifesto di questa edizione.
Ben due poi le mostre della sua produzione più genericamente visuale, termine che per l’eclettico artista sudafricano implica l’utilizzo di una quantità di media praticamente infinito: dalla grafica, alla scrittura, all’animazione, alla scultura, all’anamorfosi, al disegno, al collage.
Questo e quant’altro esposto a Palazzo Collicola fino al 2 novembre.
C’è ancora tempo quindi, lasciarsi scappare questa bellissima esposizione sarebbe un peccato mortale.
A Piazza Duomo poi, nella Chiesa della Manna d’oro fino al 27 luglio non si possono perdere i diorami, mix di video e bric-à-brac, a riesumare un’anticaglia che tra le mani di Kentridge e di altri artisti si illumina di nuova luce, nell’ambito del progetto “The Less Good Idea”.
E poi, dulcis in fundo, lo splendido spettacolo “The Great Yes, The Great No”, dove Kentridge dimostra di essere superlativo anche in ambito teatrale.
Suntuosa la veste scenica, e con una mano di tal fatta non poteva essere da meno.
Lo sfondo è dominato da video di rara bellezza, che fondono scrittura e un susseguirsi di colori e immagini come nei migliori film di Greenway.
Superba poi la compagnia, quasi total black, di attori-danzatori-cantanti che tengono la scena come meglio non si potrebbe.
Per raccontare una vicenda, tra realtà e finzione, che ha al suo centro il tema del viaggio, della migrazione, della trasformazione, della ricerca costante verso un altrove che è tra le spinte più importanti dell’animo umano e, non da ultimo, della ricerca artistica e intellettuale.
Su una nave che li porta verso un possibile futuro migliore alcuni volti noti del passato in fuga dalla Francia di Vichy, come Claude Levi Strauss, Josephine Baker e persino Stalin.
Ma potrebbe esserci ognuno di noi su quel vascello.
Decisamente uno di quegli spettacoli che sarà ricordato a lungo negli annali del festival.
La Veaute se ne va, ma non poteva andarsene in maniera migliore.
Adesso non resta che incrociare le dita per quello che sarà il futuro della manifestazione spoletina in altre mani.