Nebbia. Solo nebbia e le banchine del porto non si vedono. E se quel porto rappresentasse, come in effetti è, il rifugio sicuro per le acciaierie di Terni, per l’Ast, va da sé che quel che si prova è un senso, quanto meno, di incertezza, di ansia e di precarietà. Un grosso punto interrogativo resta appeso sopra l’Ast.
Diciamolo subito: non si teme per la sua esistenza. Almeno non nel breve-medio periodo, perché l’Ast produce acciaio inox e in Europa sono rimasti in tre a farlo: l’Acelors, l’Outokumptu e appunto l’Ast. Il problema è però: quanto può sopravvivere l’acciaieria ternana al di fuori di un di un gruppo quale è stato in passato la ThyssenKrupp, colosso dell’acciaio mondiale? In altri termini: quale futuro può avere una “fabbricona” e niente di più?
L’Ast, si sa, non rientra nell’accordo Tk-Tata. Resta alla ThyssenKrupp, nella divisione “Materials”, ma continua ad essere una specie di “parente povero” che si è pronti a sloggiare il prima possibile. Senza cedere alla tentazione di spintonarlo per non fare un’operazione in rimessa. Una realtà industriale che produce più di 90 milioni di utile sarebbe di per sé appetibile, ma come fa una nave da sola a navigare in un mare che ribolle tra dazi, importazioni ed esportazioni turbolente, produttori asiatici che restano rampanti.
Di ipotesi e di proposte di acquisizione ne girano. L’ultima, in ordine di tempo, è quella di un passaggio dell’Ast alla Kloeckner, che alla fin fine è una sorta di Tad Metals (Agarini, per capirsi). Un’importante realtà nel settore dell’acciaio, che vanta una forte crescita ed una lunga tradizione, ma nella commercializzazione, non nella produzione. Un motivo di incertezza, questo. Così come certi dubbi ha sollevato l’interessamento del Fondo americano Elliot il cui intervento sarebbe quello di operatori della finanza, i quali investono aspettandosi utili nel beve periodo. Un’operazione che vede – dicono – Lucia Morselli alla regia e che, comunque, prevedrebbe una fase di ristrutturazione (un’altra!) che avrebbe lo scopo – al solito – di aumentare produttività ed utili anche attraverso il taglio di rami se non secchi poco rigogliosi (Società della fucine, per intendersi).
I dubbi sono questi e riguardano anche una mezza proposta coreana, quella della Posco che produce quattrocentomila tonnellate di acciaio inox in Turchia e che avrebbe bisogno di qualcuno che lo trasformi in coils.
Nebbia, appunto. Che può essere diradata solo con l’intervento dell’Italia. Con un governo che sieda attorno a un tavolo con gli altri “stakeholders”, per decidere su un fatto: la produzione di acciaio inossidabile, per l’Italia, è strategica? Conviene ad un paese che è il secondo utilizzatore europeo dell’inox (si parla di centinaia di migliaia di tonnellate, non di bazzecole) far conto solo sulle importazioni?
E comunque ci si aspetta un intervento deciso sul governo tedesco e sulla ThyssenKrupp, la quale è pur sempre “unico proprietario” dell’Ast. Un proprietario strano a volte, come quando per le forniture di acciaio da utilizzare nelle proprie nuove attività si affida a produttori esterni e non alla “sua” Ast.