DI MASSIMO PROIETTI
L’emergenza sanitaria esplosa in questo mese ha determinato una significativa limitazione dell’autonomia di movimento delle persone imponendo un “confinamento domiciliare” severo con restrizioni sempre maggiori della socializzazione e della libertà. Naturale conseguenza dell’isolamento sono stati, e sono, attacchi di ansia, panico e depressione. Conservare la lucidità nella speranza che si tratti di un periodo di restrizioni circoscritte nel tempo e ragionare in termini di prospettiva non è semplice. Il problema, si badi, non è frutto delle sole preoccupazioni di chi scrive, ma è già oggetto di analisi e diagnosi specialistiche tanto che sono stati attivati servizi gratuiti di assistenza psicologica telefonica o online e gli ordini degli psicologi hanno diffuso specifici vademecum. C’e’ poi da tener presenti anche situazioni precedenti a questo periodo, in cui già molti soffrivano di attacchi di panico, ansia, stati di depressione, irritabilità e insonnia che si sono di certo amplificati. A ciò si aggiunge, per tutti, la preoccupazione per la salute propria e delle persone care, l’incertezza economica, (per alcuni già quotidiana) e quella del dopo emergenza, la lontananza forzata dai genitori anziani o dai nonni, la presenza in casa di persone affette da gravi patologie ed i cambiamenti che riguardano il lavoro e le abitudini di vita. Queste ultime, in particolare, se cagionate da reato, sono notoriamente fonte di risarcimento e ragione di ricorso a prolungati trattamenti di supporto psicologico. Quale che sia la causa del cambiamento, però, il danno rimane. Ma è la sospensione della libertà in generale che sta mettendo a dura prova la “tenuta” di molte persone chiuse in casa da sole o in “convivenze forzate” non meno pericolose in tutti i casi di “tollerate violenze”, di maltrattamenti non emersi o di disagio sociale le cui conseguenze nefaste erano in tutto o in parte arginate da una convivenza ridotta all’essenziale. Il rischio, quindi, è che all’emergenza sanitaria si aggiunga un’emergenza psicologica, attraverso gli “alert” segnalati o una distorta percezione del rischio, che può essere a sua volta origine di condotte antisociali ed antigiuridiche anche gravi. Non tutte le residenze in cui si è relegati, fra l’altro, sono confortevoli, spaziose o idonee per affrontare una permanenza forzata lunga e disagevole per cui anche questo aspetto potrebbe rappresentare una criticità non trascurabile idonea ad incrinare la graniticità dei migliori propositi di stoica resistenza.
Le soluzioni, però, non possono essere lasciate alle pregevoli ed illuminate iniziative degli ordini professionali di categoria o di singoli professionisti che, pur efficaci e lodevoli, sono estemporanee e non coordinate, ma dovrebbero essere veicolate in provvedimenti di Governo mirati che tengano conto delle necessità di un giusto bilanciamento fra sicurezza relativa, libertà assoluta e rischi conseguenti. Anche questo è certamente “cura Italia”.