Un mercato marginale, che copre circa l’1% della produzione mondiale di acciaio, ma che è destinato ad avere sempre maggiore importanza in futuro. È quello del lamierino magnetico, realizzato aggiungendo silicio all’acciaio al carbonio rendendolo ideale per applicazioni in cui sono richieste basse perdite elettriche ed elevata permeabilità magnetica (trasformatori, motori, generatori).
Con un import di oltre 721mila tonnellate nel 2022, l’Italia – che non ha una produzione propria – è il primo importatore mondiale di lamierino magnetico. Se ne è parlato questa mattina nel webinar di siderweb dal titolo “Lamierino magnetico oggi e domani”.
È un «mercato in grande sviluppo: per la crescita economica che si prevede piuttosto robusta nei prossimi anni, nei Paesi emergenti in particolare dove la popolazione è in salita e c’è bisogno di aumentare la produzione di energia elettrica; per gli investimenti dei Governi in risparmio energetico e fonti rinnovabili; per la grande transizione dal motore a combustione interna al motore elettrico in atto nella mobilità; nello sviluppo tecnologico delle transizioni di potenza».
Secondo le previsioni illustrate da Gianfranco Tosini (Ufficio Studi siderweb), se nel 2022 il mercato europeo del lamierino magnetico valeva 6,4 miliardi di dollari per 3,5 milioni di tonnellate, nel 2030 si stima che le sue dimensioni raggiungano i 12,7 miliardi di dollari per 7,5 milioni di tonnellate, con un tasso medio di crescita annuo del 9-10%.
«Mentre altri Paesi hanno ancora un’industria automobilistica interna che sarà interessata dalla transizione ecologica – ha sottolineato Tosini -, l’Italia ormai non produce più di 700-800mila veicoli l’anno, quindi non avremo un’impennata della domanda da parte di questo settore. Probabilmente cresceranno di più la componente manifatturiera extra automotive e nel comparto energetico. Credo, però, che ci sia l’opportunità per un eventuale produttore nazionale di lamierino magnetico – ha detto Tosini – Il Gruppo Arvedi, avendo acquisito AST, può sicuramente riattivare l’attività produttiva, anche nel breve termine. Resta la partita di Acciaierie d’Italia a Taranto, ma in questo caso si andrebbe molto più in là nel tempo, perché gli impianti oggi sono interessati da un intenso processo di trasformazione industriale».