Adesso sull’Umbria tutti sanno tutto o quasi: sanno, anche nei Paesi in cui leggono il Financial Times, che è una regione del centro Italia: piccola, ricca di storia, di bellezze naturali e di beni culturali. E senza porti da chiudere o aprire, perché non dà sul mare- E sa che in Umbria non ci sono solo Assisi o Norcia, per via dei santi, e Perugia. Molti hanno imparato, anche in Rai, che per esempio l’Umbria ha pure la provincia di Terni e che Narni ne fa parte fin dal 1927, quando la provincia unica dell’Umbria (che comprendeva pure Rieti e il reatino), rimase solo un retaggio dell’organizzazione amministrativa papale prima e sabauda poi. L’Umbria al centro del dibattito politico italiano, messa sotto la lente da politologi, sociologi, psicologia. Tutti gli “ologi” d’Italia hanno esaminato il voto degli umbri, hanno valutato l’”ombra umbra” che si allunga sul Governo, hanno cercato di spiegare ricorrendo ai testi “sacri” o a Freud come mai una roccaforte rossa sia diventata un avamposto della destra. Come se tutto fosse accaduto all’improvviso: la sera a letto con le lenzuola rosse, al mattino la sveglia con quelle verdi-blu.
Per dare notorietà ed importanza ad una piccola regione – per alcune settimane, nessuno s’illuda – c’è voluto questo voto, cui gli umbri sono stati chiamati anticipatamente per colpa di uno scandalo riguardante i concorsi per le assunzioni nella sanità. Una delle regioni che il ministero della Salute ha valutato come “banchmark” perché ben funzionante nonostante alcune pecche: favoritismi, mirati all’assunzione di portantini. inservienti, amministrativi, e influenti in qualche caso anche sulla scelta dei primari seppure in rose di nomi altamente qualificati.
Quando la tiri troppo la corda si strappa, si dice dalle parti dell’Umbria. La corda che si tirava era quella della ricerca di mantenere un consenso che le formazioni politiche di sinistra, ma essenzialmente il Pd, sentiva sfuggire. La contromisura è stata un’azione di piccolo cabotaggio e clientelare: un posto di lavoro in una qualche cooperativa di assistenza anziani, magari; o una palata di breccino incatramato davanti al cancello di casa, una fermata dell’autobus vicino all’abitazione. Piccolo cabotaggio, appunto, che però ha successivamente dovuto prodursi in un’escalation, perché poi per assumere un cliente qualche imprenditore chiedeva un occhio di riguardo per sé, un qualche atteggiamento compiacente e gratificante e via continuando. L’effetto? Il voto di scambio che arrivava era a vantaggio all’uomo, all’amico più che all’esponente di una parte politica. Per restare incollati alla sedia col vinavil, mote energie andavano profuse in pratiche asfittiche, posto che altri dovranno occuparsi di altri aspetti. L’elaborazione politica, quella vera, quella del confronto di idee, della costruzione di proposte, della individuazione e soluzione di problemi più grandi e collettivi avevano uno spazio secondario nelle discussioni che si tenevano nel chiuso di stanze, nei confronti tra capobastone e cordate che partendo dal vertice arrivavano fino all’applicazione del manuale Cencelli anche nell’attribuzione del compito di chiudere la porta quando tutti andavano via.
Il risultato è stato che invece di sentirsi tutti aiutati, gli umbri si sono sentiti tutti dimenticati. Che le decisioni erano dettate soprattutto dalla esigenza di non scontentare nessuno. Ma l’effetto è stato quello di un’apparente paralisi, che nei fatti trasformava le forze del progresso in forze della conservazione.
Ed eccola allora la reazione: le diatribe tra esponenti della stessa parte politica hanno portato ad impallinamenti delle proprie truppe, a quel “fuoco amico” in alcuni casi devastante. Così la sinistra , il Pd, non è stato più percepito come il partito di chi aveva maggiori problemi; quando un segretario del partito passa in Umbria ma tira di lungo davanti agli operai che lottano per una dura vertenza sindacale quale può essere l’effetto? Quegli operai sentono tradita la loro fiducia e la loro speranza e la reazione è quella di chi si considera offeso nella propria dignità. E’ legittimo a quel punto che ci sia una reazione che sfocia nella protesta e nel rancore. Quanti giovani che s’erano avvicinati al Pd sono stati “bruciati” sull’altare di questo sistema, rimanendo delusi, non riconoscendosi proprio per niente in quello che per loro sarebbe potuto diventare un ideale che pensavano di trovare ma non hanno trovato. La risposta, molti di loro, l’hanno cercata e trovata nella Lega (alcuni ne sono esponenti di primo piano). Quanti operai hanno trovato nelle formazioni di destra l’occasione di rivalsa?
I giovani da una parte, i meno giovani dall’altra. In una delle tante trasmissioni Tv “di approfondimento” è apparso un ex operaio, prototipo dell’operaio di sinistra che si è sentito cadere le braccia. Intervistato da ”La 7” ha raccontato di aver ritrovato nella Lega ed in Salvini il piacere e l’entusiasmo di sentirsi parte di un tutto, di appartenere a una formazione politica popolare, di aver rivisto le piazze piene e festanti come quando arrivavano a Terni, per i comizi in piazza (e non nei centri convegni), Ingrao o Berlinguer. Ora è Salvini a dargli quelle emozioni, Salvini che lo ha gratificato di attenzione, che è stato a pranzo a casa sua.
Tante e variegate sono le motivazioni. Piccole, meno piccole o profonde, ma tutte riconducibili ad un senso di abbandono, di lontananza e quindi della reazione messa in atto usando la scheda depositata nell’urna come una clava. Pensando e desiderando di tornare a contare qualcosa. Prima ci hanno provato votando per il Movimento 5 Stelle, poi visto l’andazzo di una formazione che secondo i canoni della linearità delle persone semplici ma piene di dignità hanno considerato confusionaria e poco concreta, sono approdati più in là, alla Lega o a quelli che considerano eredi di un’ideologia politica che sembrava tramontata e che invece ha trovato nell’inconcludenza del Pd ternano ed umbro una specie di gerovital. Hanno detto no, quindi, ad una formazione politica che considerano ristretta ad esercitare il potere per il potere; litigiosa, persino in una campagna elettorale delicata come quella per le regionali 2019 quando candidati in cerca di riconferma hanno tentato di pescar voti anche laddove non s’erano mai visti al di fuori delle campagne elettorali. Un atteggiamento qualunquistico? Non pare proprio se si considera, ad esempio, quella rilevazione statistica che dimostra che ad influire sulla valutazione negativa a carico del Pd è stata per il 55% la inconcludenza sulle questioni del lavoro, dell’occupazione, delle difficoltà economiche per le quali non si è visto un impegno sufficiente; solo per il 15% ha giocato, ad esempio, lo scandalo dei concorsi nella sanità; mentre nel sud dell’Umbria ha avuto un peso consistente uno sbilanciamento delle decisioni che ha dato ai ternani, agli spoletini, agli orvietani, la sensazione di essere abitanti di una colonia.
Abbraccio alla Lega e ai Fratelli d’Italia, quindi, (Forza Italia sembra aver imboccata una strada che va verso un orizzonte nebuloso) contro una sinistra che non s’è comportata da sinistra.
Chi, nonostante tutto, non ha avuto la forza di esprimere il consenso alle forze di destra è rimasto a casa. Anche nel 2019. L’avvertimento c’era stato nel 2015, quando la percentuale dei votanti scese fino ad approssimarsi al 50 per cento. Allora la sinistra, con Catiuscia Marini, vinse di un’incollatura anche grazie ad una legge elettorale che fu varata proprio per utilizzare e massimizzare quel poco di vantaggio che già allora rimaneva. A quella vittoria, ottenuta per un soffio, sarebbe stato necessario far seguire un’azione di governo pimpante, vivace, specchiata, equa e che tenesse conto delle esigenze dei territori, tutti i territori, e non solo di quello che si vede dalla sede regionale di Piazza Italia. Forse in questo modo qualcuno degli indecisi lo avrebbero convinto. Invece è avvenuto casomai l’esatto contrario, se la percentuale dei votanti nel 2019 è stata del dieci per cento più alta che nel 2015, il voto degli ex indecisi è andato verso destra.
Ha insegnato qualcosa, allora, quel che è successo. Specialmente a Terni dove la Lega da sola è arrivata al primato di quota 40%? Non pare se è già cominciata la bagarre: chi fa capire di essere intenzionato ad approdare alla formazione di Renzi; chi non essendo stato eletto se ne va sbattendo la porta, come se l’impegno politico non si potesse svolgere da semplice militante anche se si è convinti di essere un “cervellone”; chi comincia a chiedere dimissioni anche se in verità non si capisce da che possa dimettersi ormai chi fa parte del Pd.
Solo il congresso, già previsto a livello regionale, potrà mettere un po’ d’ordine. Forse. A patto che, come suggerisce qualche padre nobile della sinistra italiana, sia un congresso di rifondazione del partito. Un azzeramento di tutto, un repulisti di chi si è già messo in “forse” aspettando le mosse dell’avversario, perché casomai, muoia Sansone con tutti i Filistei.