Il rapporto dell’Istituto nazionale di statistica evidenzia, nel II trimestre 2017, un calo di 3 mila occupati in Umbria, in controtendenza con la media nazionale e quella del Centro che, invece mostrano un incremento di posti di lavoro. Il tasso di occupazione scende e quello di disoccupazione sale dal 10% al 10,5%, superando in negativo il dato del Centro (9,7%).
I disoccupati crescono da 39 mila 700 a 41 mila 700.
L’Umbria resta lontana dai livelli occupazionali pre crisi, che invece sono stati raggiunti dalla media nazionale e già superati del 3,3% da quella del Centro. Per tornare ai livelli occupazionali all’Umbria mancano 14mila 700 posti di lavoro.
QUI SOTTO DATI E E PREVISIONI DI MEDIAM043
I nuovissimi dati Istat sull’occupazione nel secondo trimestre 2017 non portano buone notizie all’Umbria. Torna infatti a deludere, ancora una volta, il mercato del lavoro della regione. Dopo il balzo in avanti segnato nel quarto trimestre 2016, che aveva fatto seguito a lunghi anni di forte flessione e che aveva fatto sperare in una svolta positiva, per il secondo trimestre di fila l’Umbria vede ridurre i posti di lavoro, che invece aumentano nella media nazionale e in quella del Centro. Il risultato è che gli indici del mercato del lavoro umbro si avvicinano pericolosamente alla media nazionale, dove pesa la situazione del Mezzogiorno e questo significa allungare ancora di più le distanze con il Centro-Nord, distanze diventate fortissime durante la lunga recessione. Tanto che oggi, rispetto al numero degli occupati che c’erano nell’ultimo anno prima della recessione, il 2008, l’Umbria è sotto del 4% (-5,3% per gli uomini e -2,4% per le donne), mentre a livello nazionale si è tornati al numero degli occupati del 2008 e la media del Centro segna, sempre rispetto ai livelli del 2008, il 3,3% di occupati in più. Invalori assoluti, per tornare al numero degli occupati pre crisi all’Umbria mancano ben 14mila 700 posti di lavoro.
L’avvertenza
L’Istat elabora i dati sul mercato del lavoro attraverso un’indagine campionaria che, affidabile a livello nazionale e per le regioni grandi in quanto la numerosità del campione è adeguata, lo è meno quando si trattano i dati di piccole regioni come l’Umbria, dove la numerosità del campione è bassa e dove per questo i dati possono essere condizionati anche fortemente dal fatto che la composizione del campione cambia ogni trimestre, per un quarto del totale ogni volta (in altre parole, un quarto delle persone del campione esce e altrettante ne entrano).
Per questo, più che guardare al dato in sé e per sé e diffidando di formidabili ascese o cadute da un trimestre all’altro, è più opportuno cogliere le tendenze e gli eventuali punti di svolta. Insomma, è sbagliato trarre conclusioni affrettate in base ai dati Istat del trimestre, ma bisogna allungare lo sguardo a più trimestri, maneggiando i dati con una certa cautela.
Il rapporto dell’Istat relativo al II trimestre 2017
Nel II trimestre 2017, affermano i dati Istat, rispetto allo stesso trimestre del 2016 gli occupati scendono in Umbria di 3mila unità, passando da da 355mila a 352mila (le cifre sono arrotondate al migliaio superiore o inferiore). La flessione è dello 0,8%, contro la media nazionale di +0,7% e quella del Centro di +0,5%. Se si guarda invece al primo semestre 2017, rispetto al primo semestre 2016 l’Umbria mostra una sostanziale stabilità dei posti di lavoro (+0,1%), ma anche in questo caso facendo peggio sia della media nazionale che di quella del Centro.
Insomma, l’Umbria non è più la peggiore del Centro-Nord (andamenti peggiori li registrano infatti le Marche, la Liguria e la Valle d’Aosta), ma fa peggio della media nazionale e di quella del Centro e appare ancora lontana dal recupero di quanto perso durante la recessione, recupero che invece appare ormai completato a livello nazionale (nella quantità, anche se non certo nella qualità dei posti di lavoro creati), con non poche regioni che sono andate ben sopra a cominciare da Lazio (+8,5% sul 2008), Lombardia (+3,5% sul 2008) ed Emilia Romagna (+1,9%).
Entrando più in dettaglio nei dati Istat relativi al II trimestre 2017 rispetto allo stesso trimestre 2016, a perdere posti di lavoro sono stati soprattutto gli uomini (2mila 300), mentre le donne hanno lasciato sul campo poco più di 600 occupate.
Il tasso di occupazione scende, quello di disoccupazione sale
Come più volte spiegato, è il tasso di occupazione – e non quello di disoccupazione – il termometro più adatto per misurare la temperature dal mercato del lavoro. Nel II trimestre 2017 il tasso di occupazione dell’Umbria, sempre rispetto allo stesso trimestre 2016, scende dal 62,9% al 62,5%. Va ricordato che il tasso di occupazione esprime quante persone hanno un impiego all’interno di una categoria (in questo caso nella popolazione in età da lavoro, da 15 a 64 anni compiuti) e quindi esprime il tasso i coloro che sono occupati all’interno della categoria. L’Umbria continua ad avere un tasso di occupazione più elevato della media nazionale, che è al 58,1%, ma il divario a favore della regione si è via via ridotto.
Quanto al tasso di disoccupazione (che sarebbe meglio chiamare tasso della disperazione, perché in pratica comprende solo chi accetterebbe immediatamente, qualora venisse offerto, un qualsiasi lavoro, a prescindere dalla sua qualità professionale, dagli orari e dalla distanza nel raggio di 40 km dal luogo di residenza), in Umbria in un anno è passato dl 10% al 10,5%, mentre a livello nazionale è sceso dall’11,5% al 10,9%. In particolare, in Umbria tra il secondo trimestre 2016 e lo stesso trimestre 2017 il tasso di disoccupazione è aumentato tra gli uomini (dall’8,1% al 9,2%), mentre è sceso tra le donne (dal 12,4% al 12,1%), in linea con un trend nazionale che vede l’occupazione femminile andare decisamente meglio di quella maschile.
Da rilevare, sempre sul fronte del tasso di disoccupazione, che un anno fa il tasso dell’Umbria (10%) era inferiore a quello del Centro (10,4%), mentre oggi è superiore e non di pochissimo (10,5% contro 9,7%).
A livello assoluto, il numero dei disoccupati in Umbria in un anno è aumentato da 39mila 700 a 41mila 400, dopo aver toccato il minimo di 35mila 300 nel quarto trimestre 2016.
Gli inattivi
I movimenti degli inattivi (ossia coloro che, pur essendo in età da lavoro non fanno parte delle forze di lavoro perché non hanno un’occupazione e allo stesso non sono tecnicamente disoccupati perché magari un lavoro non lo cercano o pongono condizioni tipo la sua qualità, gli orari e così via) sono molto importanti. Perché, ad esempio, quando l’economia migliora e le persone contano di avere maggiori possibilità di impiego, alcuni che prima l’occupazione non la cercavano più in quanto sfiduciati riprendono la ricerca e, da inattivi, diventano statisticamente disoccupati. Così può accadere che, in una fase di ripresa economica, crescano sia gli occupati (perché si fanno più assunzioni) sia i disoccupati (perché persone prima inattive ora il lavoro lo cercano e così diventano tecnicamente disoccupate). L’inverso accade durante le recessioni: la difficoltà di trovare lavoro porta un certo numero di persone a non cercarlo neppure più e ciò le trasforma
da disoccupate in inattive. In questo caso, nelle recessioni può quindi accadere il paradosso che calano sia gli occupati che i disoccupati. Ecco perché, come detto, il tasso di occupazione è affidabile solo fino a un certo punto per valutare la salute del mercato del lavoro.
Tornando all’Umbria, nel II trimestre 2007 il numero degli inattivi è rimasto sostanzialmente stabile, scendendo di meno di mille unità, passando complessivamente da 166mila a 165mila in un anno (60mila 500 uomini e 104mila 500 donne). Questo significa che il tasso di disoccupazione in questa occasione è stato, eventualmente, poco influenzato dal movimento nell’aggregato degli inattivi.
Conclusioni
“L’Umbria – afferma Giuseppe Castellini, giornalista economico che cura il data journalism per Mediacom043 – al di là dei dati congiunturali, a livello occupazionale sembra risentire molto meno della fase di ripresa economica che si è aperta. Perché la ripresa è molto selettiva e i settori in cui l’Umbria è specializzata continuano a mostrare difficoltà, mentre quelli protagonisti della ripresa in Umbria hanno un peso decisamente minore. In sostanza è clamorosamente fallito l’obiettivo, proclamato da almeno 4 consiliature regionali, di agganciare il treno del CentroNord. Non è certo un buon risultato per il ceto politico, istituzionale e imprenditoriale dell’Umbria. Il brutto è che si continua a tentare di nascondere la polvere sotto il tappeto. Per anni è stato ai cittadini umbro che nella regione il Pil pro capite aumentava più della media nazionale, salvo scoprire ora che invece l’Umbria, dal 1995 al 2014, rispetto alla media nazionale (si badi bene, non in valore assoluto, ma rispetto alla media nazionale che già è andata male di suo) ha perso circa 17 punti percentuali, passando da un indice di 103,5 a uno di 87,5, come certifica anche l’Agenzia Umbria ricerche. In pratica si è mentito per anni e questo non va bene. Quanto al futuro occupazionale – afferma Castellini – la ripresa porterà anche in Umbria a una crescita occupazionale, che si evidenzierà nei prossimi trimestri, ma i posti di lavoro saranno caratterizzati da fragilità, mente quelli ‘buoni’ saranno, in proporzione, assai meno di quanti non se ne creeranno nella media nazionale”.