Si e No al referendum costituzionale di ottobre.
Oggi ospitiamo l’opinione del dottor Raffaello Federighi che ci ha inviato questa lettera
Il tema del referendum costituzionale, non appena archiviate le attuali elezioni amministrative, sarà il principale terreno di confronto e scontro tra le varie forze politiche, le quali, tutte, troveranno conveniente, distogliere l’attenzione da problematiche forse più cogenti e che maggiormente determinerebbero le condizioni di vita dei cittadini, auspicabilmente in meglio.
Ciò premesso, rilevo un moltiplicarsi d’interventi sul tema specifico, da parte di esperti, spesso improvvisati e autoreferenziali che, lungi dal fare chiarezza, contribuiscono ad una confusione crescente.
La prima cosa da dire è che quello di ottobre sarà il terzo referendum costituzionale nella storia della Repubblica Italiana, i precedenti, infatti, sono del 2001 e del 2006. Esso si rende necessario quando un progetto di riforma della Costituzione non ottiene i due terzi dei voti del Parlamento. Nella cosiddetta Prima Repubblica, in tutti gli schieramenti politici era ben chiaro il concetto che la Costituzione conteneva le regole del gioco, le quali andavano modificate con prudenza, soltanto a larga maggioranza e senza il recondito intento di avvantaggiare un gruppo di potere dominante “pro tempore” che, in quanto tale, era ed è oggettivamente variabile per la regola dell’alternanza, presupposto fondamentale di qualsiasi democrazia.
Il secondo elemento di riflessione è che il referendum costituzionale non prevede quorum, quindi prevale la decisione della maggioranza degli elettori che, nel caso specifico, si recano a votare. Tale fatto va considerato in parallelo con il trend crescente di astensione, che ormai da anni caratterizza l’Italia, un paese nel quale i cittadini sono sempre più distanti dalla politica, nel quale il Palazzo non persegue più fini d’interesse generale, bensì temi o regole per preservare il dominio del proprio schieramento, nel quale, sciaguratamente, l’avversario viene trasformato in nemico, da demonizzare ed eliminare, in qualsiasi modo, lecito o meno.
Certamente la nostra Costituzione non è priva di difetti e l’impostazione ad essa data dai padri costituenti, anche per l’allora fresco ricordo del ventennio mussoliniano, era fortemente caratterizzata dall’impedire le decisioni autonome dell’uomo solo al comando, anche a prezzo di una certa farraginosità procedurale, ineliminabile in un bicameralismo perfetto.
Ulteriore elemento di perplessità è che il DDL Boschi, in data 12/4/2016, è stato approvato con una maggioranza ridottissima in Senato e proposto da un Governo a forte dubbio di costituzionalità, poiché la maggioranza sulla quale lo stesso si regge è fortemente basata su sostanziali transumanze di parlamentari che hanno cambiato schieramento rispetto a quello originario di elezione (vedi NCD di Alfano e ALA di Verdini). Il tutto senza passare dalla necessaria verifica elettorale, che ben due Presidenti della Repubblica, Napolitano e Mattarella, hanno reputato superflua, chiamando a presiederlo un Presidente del Consiglio valutato esclusivamente dai propri delegati di partito, non proprio tutti, per la precisione.
Fatte queste necessarie premesse, che sono tuttavia indispensabili per comprendere la questione, occorre analizzare i punti fondamentali del referendum prossimo venturo.
Il leitmotiv della riforma si basa sulla propagandata semplificazione legislativa, ma in realtà si tratta di una decisa svolta centralistica dell’assetto statale, con una robusta riduzione dell’autonomia decisionale degli enti locali, ai quali, salvo la sanità, sono tolte molte competenze specifiche e totalmente quelle concorrenti. Le tesi a favore, circa la riduzione del numero dei parlamentari, sono palesemente prive di pregio, poiché migliore risultato si poteva ottenere dimezzando il numero di deputati e senatori senza stravolgerne il ruolo e i compiti. Sulla sbandierata semplificazione legislativa, basti asciuttamente osservare che un monarca assoluto garantirebbe standard di efficienza legislativa inarrivabili… In realtà, non io, bensì Winston Churchill, riteneva che un sistema democratico parlamentare ha molti difetti, ma nessuno ne ha elaborato uno migliore.
Relativamente alle modifiche del Senato, osserviamo che non solo scompare il cosiddetto bicameralismo perfetto, ovvero la sovrapponibilità delle materie di competenza delle due camere, ma che il progettato nuovo Senato avrà specifiche e ridotte facoltà di legiferare, essenzialmente su temi locali e soprattutto non voterà più la fiducia al nuovo Governo, al quale sarà sufficiente il voto favorevole della Camera dei Deputati.
Se a tale fatto, di per se non di poco conto, correliamo la riforma elettorale, il famigerato “Italicum”, nel quale è previsto un sostanziale premio di maggioranza al solo partito di maggioranza relativa, non è azzardato ritenere che siamo di fronte alla distruzione premeditata e perfetta della democrazia, almeno di quella democrazia per la quale, fino ad oggi, si ritenevano necessari alcuni presupposti, dei quali ora si postula l’obsolescenza, in maniera certo smart e glamour, ma su cui è opportuno dibattere e legittimo dissentire.
Ultimo oggettivo motivo di critica è che il referendum costituzionale si propone come un pro o contro l’intera riforma, connotandola come un giudizio politico sull’attuale Governo, privando così il cittadino della possibilità di esprimersi su ognuno dei grandi temi che s’intendono modificare. Da qui i motivati dubbi di cinquantasei noti costituzionalisti, che parlano di stravolgimento sostanziale della Costituzione Italiana, ridotta a oggetto di contesa da pollaio tra fazioni avverse o a favore di Renzi, tra comici demagoghi che disquisiscono con leggerezza di temi delicatissimi e molto lontani dalle loro competenze e sociologhi presenzialisti che dissertano in maniera dissennata sulla sostenibile bellezza del “cambiare è comunque bello”.
A loro e altri personaggi similari, comparse lontane ma fameliche del tragico teatrino della politica, sarebbe bene rammentare la saggezza popolare la quale, con lungimiranza, ammonisce che, spesso, “la toppa è peggiore del buco”… E’ una tesi popolare, lo sappiamo, ma bello o brutto che sia, non è stato ancora né abolito, né emendato l’art. 1 della Costituzione che recita “ La sovranità appartiene al popolo“, che è cosa ben diversa dagli addetti ai lavori.
Dott. Raffaello Federighi