Bastano un server, la “computerizzazione” del processo produttivo, magari un paio di robot o la digitalizzazione dell’impresa? No, non bastano. Casomai queste possono essere condizioni di partenza. L’essenziale, perché si possa parlare di impresa 4.0 è un cambiamento di mentalità. Lasciando da parte il passato che “non ritorna”, per dirla con Luigi Rossetti, direttore del comparto Unità produttive, lavoro e formazione della Regione Umbria. Un colpo di spugna alla lavagna su cui sono scritti i parametri “classici” del buon imprenditore ed avviarsi su una strada che, pur essendo continuazione di quella vecchia, diventa più larga e del tutto diversa. Un salto non facile. La Camera di Commercio di Terni, nell’intento di fare del suo, propone un “percorso formativo”: una serie di incontri con esperti del settore e un seminario finale rivolti ai piccoli e medi imprenditori e riassunti nello slogan “innovare per competere nell’era di impresa 4.0”.
4.0: la sintesi estrema di un concetto che al contrario è articolato non poco. Perché Impresa 4.0 significa non – tout court – l’innovazione delle tecnologie usate per la produzione, ma anche e soprattutto l’acquizione, l’uso e lo sviluppo di nuove competenze; la valorizzazione di nuovi apprendimenti. Una rivoluzione se tutto ciò viene confrontato con “quel che c‘era” e che trova un campo ideale di applicazione in un’area, come quella ternana e dell’Umbria del sud, in gran parte “dedicata” al settore manifatturiero. Nuovi apprendimenti e competenze: non si tratta cioè solo competenze per l’uso migliore delle tecnologie digitali, ormai accessibili a tutti e a costi decrescenti, ma semmai di innestare su quella tecnologia processi finora impensati. L’importante è dare spazio alla creatività, alla progettualità che non è solo di prodotto, ma anche di mercato o chissà cos’altro. Chi penserebbe ad esempio, che in un’impresa manifatturiera sarebbero di grande utilità competenze umanistiche, dalla sociologia, all’antropologia, alla storia. Eppure sono proprio queste, le meno pensate e al momento le più lontane dall’elenco delle esigenze riconosciute come proprie da parte di un imprenditore manifatturiero, tali competenze “singolari”, a fornire occasione di competitività su un mercato che non può che essere pensato – in ogni modo – che globale.
Un’esigenza di cambiamento profondo, quindi. La stessa che intende perseguire – ad esempio – la Regione Umbria nell’utilizzo delle opportunità fornite dalla stato di Area di Crisi complessa, o dai fondi europei, come ha spiegato il vicepresidente Fabio Paparelli, presente all’avvio dell’iniziativa della Camera di Commercio. Non si tratta di finanziare ammodernamenti – ha detto in sostanza Paparelli – ma di favorire un’innovazione profonda delle imprese e del tessuto produttivo. Ed è, certo, una differenza non da poco.