Alla Treofan è in corso un minuetto: da una parte la proprietà, la multinazionale indiana Jindal, che vuole, palesemente, chiudere, e dall’altra chi si interessa dei dettagli. Firmare la proposta di cassa integrazione covid? Oppure no?
Quella fabbrica, stando così le cose, è senza speranza, firme o non firme: la Jindal attua una politica che è tipica delle società indiane e che in Italia si è pure manifestata a Piombino, nella “demolizione” di una acciaieria perfetta. Lo stabilimento non ripartirà, e non ci vuole la palla di vetro per capirlo, non ripartirà più, facendo la fine della fabbrica sorella di Battipaglia.
Ora, se i lavoratori, le forze politiche i sindacati saranno interessati solo alle provvidenze, necessarie, sia chiaro, ma non ai posti di lavoro, questa è la strada mobilità, disoccupazione, proteste, bassi salari. Se non si vuole questo ci vuole uno scatto diverso, che si interessi per una volta della sostanza. E così serve capire chi è il proprietario dell’area: se si dovesse chiudere la fabbrica per legge si deve attuare la bonifica strutturale e profonda dell’area, uno scherzetto di una ventina di milioni di euro, se basta. Tanto per dire, a Nera Montoro a vent’anni dalla sua uscita, l’Eni ancora paga società per la bonifica. E la Jindal deve essere chiamata proprio alla bonifica. Subito. Altrimenti via con le denunce.
Poi un impegno diverso del Ministero dell’Industria: la riunione del 10 agosto è stata male impostata ed ha lasciato che i sindacati sbattessero contro il muro. L’accordo che ne è scaturito è già carta straccia per tutti. Il Mise, se vuole essere incisivo deve parlare colla multinazionale e non con il direttore della fabbrica, che conta davvero molto poco.
Andrebbero poi verificato la strada dei fondi per lo stabilimento di Brindisi, che erano a fronte di investimenti senza che avessero portato nocumento alle altre fabbriche del gruppo. Invece così non è stato ed è quella una palese violazione di accordi e della quale si dovrebbe interessare la Magistratura.
Ancora: se il film polipropilenico è necessario, indispensabile come detto al Mise, al punto che l’Italia lo dovrà importare, allora proprio il ministero si adatti a trovare altri imprenditori a cominciare dalle aziende che producono le sigarette, che si prendono la gran parte del prodotto e che sarebbero interessate.
Infine, con più lungimiranza ma con velocità, è da riprendere il “Piano Malizia”, dall’allora Vicepresidente della Giunta Regionale, e che lo aveva presentato negli Anni Ottanta, considerato, ma le vacche erano grasse, poco importante: creare all’interno dello stabilimento alcune startup, spinte anche dalla Beaulieu, la ex Meraklon, e da Novamont per rimpinguare gli spazi, startup solo per la chimica. Tra l’altro ora, la mancanza della Treofan farà aumentare di un terzo le spese generali delle due aziende rimaste in quanto avevano insieme portinerie e molti servizi in comune.
Il tempo stringe e la paura è che il film possa “girarsi” da un’altra parte è davvero molto viva.