All’incirca novanta milioni di utili nell’ultimo anno, se l’Ast vale circa mezzo miliardo comprarsela sarebbe un affare: quale altro investimento, infatti renderebbe quasi il 20 per cento annuo? E allora dovrebbe esserci la fila ad Essen davanti alla porta del Ceo della ThyssenKrupp. Ma non pare, per quanto se ne sa, che sia così. Una volta si parla di fondi pensione americani (il solito Elliot con annessa Lucia Morselli), un’altra di Arvedi, magari insieme a LuxOttica e l’immancabile Cassa depositi e prestiti. Adesso torna a pronunciarsi il nome Marcegaglia che dai tempi della privatizzazione degli anni Novanta del secolo scorso, le acciaierie di Terni sempre le vuole ma mai se le piglia.
L’incertezza la fa da padrona. A partire, appunto, da Essen: la ThyssenKrupp, vende o non vende? E se vende, quando lo farà? Perché mica è detta l’ultima parola. Col nuovo assetto determinato dall’accordo con la Tata può darsi che abbia preso una diversa consistenza la corrente di pensiero che, volendo, si potrebbe definire “degli acciaieri”, i “vecchi” manager provenienti dalla Krupp che memori del ruolo ricoperto per un secolo nel quadro della siderurgia mondiale, prima che tedesca, non sono mica tanto soddisfatti di puntare su settori diversi dalla produzione di acciaio. O comunque forse amerebbero mantenerla e non solo – visto che si tratta di manager e per di più tedeschi – per questioni sentimentali.
Certo, al momento, tra le acciaierie ThyssenKrupp, ad avere un futuro davanti pare sia rimasta solo l’Ast, visto che gli altri siti perché si possa mantenerli in produzione debbono essere profondamente rivisitati sul piano impiantistico e ancor più ambientale. Ci vogliono investimenti “sonori”, insomma. Ed è su questo che hanno buon gioco gli altri, quelli della corrente di pensiero “Thysseniana”, quelli che guardano con maggiore interesse ai servizi ed alla finanza.
E allora l’Ast è in vendita, ma – si direbbe in Italia – debbono farci ridere quelli che la volessero comprare.
Se questa è l’incertezza di fondo, ne rimane un’altra altrettanto consistente: all’Italia interessa continuare a svolgere un ruolo importante nella siderurgia? Anche su questo si capisce poco perché a fronte di teorici della decrescita felice ci sono in ballo posti di lavoro e comparti economici “di peso” nella manifattura italiana. Il Governo come la pensa, davvero? C’è un’idea che si vuole seguire? O si vuole continuare a fare come si è fatto pochi giorni fa, convocando un incontro cui hanno partecipato quattro funzionari che parlavano tutta un’altra lingua rispetto a certi rappresentanti umbri delle istituzioni?
La fabbrica va avanti, continua a produrre, guarda con preoccupazione agli effetti dei dazi e più di duemila famiglie ternane tirano a campare. Si sono fatti epicurei: “chi vuole esser lieto sia, del doman non v’è certezza”, diceva quello.