Marco Cecconi, il coordinatore comunale di Fratelli d’Italia, interviene sulla sentenza di assoluzione per gli imputati nel processo “Spada”.
Cecconi sottolinea come il suo partito non abbia mai cavalcato l’inchiesta e abbiamo mantenuto le dovute distanze fra le due estremità di Corso del Popolo, il palazzo politico e quello giudiziario. Altro, invece sono le colpe e le responsabilità politiche, per quelle afferma Cecconi, “non ci imbarazza aver chiesto le dimissioni del sindaco”, l’allora sindaco Leopoldo Di Girolamo.
DI MARCO CECCONI
La verità processuale consegnata dalla sentenza con la quale (peraltro in contrasto con le richieste di condanna della pubblica accusa) sono stati assolti tutti gli imputati della cosiddetta “Operazione Spada” non ci imbarazza né ci contraddice.
Noi non abbiamo mai allestito roghi nelle piazze, non abbiamo mai intrapreso nessuna caccia alle streghe, non abbiamo mai emulato tribunali del popolo di tristissima memoria, anzi. All’epoca dei fatti, nell’aula del consiglio comunale e fuori, Fratelli d’Italia non ha mai omologato un avviso di garanzia ad una sentenza di condanna: fedeli ad una cultura politica che ci ha sempre indotto, semmai, a chiedere a partiti e movimenti di non cavalcare un’inchiesta pretendendo di anticiparne gli esiti, giusto per ottenere un po’ di visibilità a buon mercato. Noi abbiamo sempre mantenuto le dovute distanze tra le due estremità di Corso del Popolo, il Palazzo della politica da un lato e, all’opposto, gli uffici giudiziari.
Il fatto è che, per contestare ad una giunta e ad un sistema le proprie responsabilità – ecco il punto – non abbiamo mai avuto bisogno di sapere se metodi e comportamenti configurassero gli estremi di un reato e, insomma, fossero rilevanti anche penalmente. Per noi, era e resta sufficiente ponderare le colpe politiche e morali. Per noi – ecco perché chiedemmo le dimissioni di sindaco e assessori ben prima di qualunque “Operazione Spada” – la firma d’autore di quella Amministrazione era già scritta con il fuoco nei conti sballati del Comune di Terni, nei suoi bilanci mistificati, nel dissesto annunciato che ha portato alla certificazione di un fallimento che pesa e peserà sulle spalle di tutti i ternani: gli unici costretti a pagare (con imposte e tributi alle stelle) e per colpe non proprie. La firma d’autore era già scritta in calce al degrado della città; era scritta in calce al blocco ingessato ed autoreferente dei servizi.
Il fatto che il sistema di costruzione e consolidamento del consenso di quell’Amministrazione e quella sinistra venga riconosciuto oppure no come reato, non cambia di una virgola il giudizio etico su quello stesso sistema, immobile ed immobilizzante per un’intera comunità: un sistema parallelo da Terni a Perugia, quale che sia stato e sarà il responso dei tribunali, magari anche per un’altra indagine, questa ancora in corso, qual è quella sulla cosiddetta “sanitopoli/concorsopoli” umbra.
Oggi (a proposito) a commento della sentenza sull’ “Operazione Spada”, l’ex presidente della Regione Marini – al centro della vicenda giudiziaria ancora sul tappeto – si scaglia contro il Pd, il suo partito, e contro il suo segretario Zingaretti. Esattamente come ieri, quando la vicenda processuale ternana era ancora in itinere, erano stati altri autorevoli esponenti di quella sua stessa giunta regionale e di quello stesso Pd – come il ternanissimo Paparelli, per esempio – a chiedere a Di Girolamo di scavarsi la fossa e infilarcisi dentro. E allora sarà bene che il Pd umbro e la sinistra tutta – anziché pretendere improbabili ed improponibili riabilitazioni politiche degli uomini e le donne al centro di queste o quelle vicende – riflettano su colpe senza appello e senza assoluzione: quelle che hanno portato gli umbri a prenderne finalmente le distanze, quali che siano o saranno le verità processuali.