Di Chiara Furiani
Buona la risposta del pubblico di Umbria Jazz Winter ad Orvieto già dalla prima giornata incentrata sul concerto serale d’apertura al Teatro Mancinelli.
Quasi sold out, con la platea e i palchetti praticamente al completo, la presenza delle maggiori autorità cittadine e oltre, compresa la Presidente della Regione Donatella Tesei, la manifestazione ha sfoderato quello che sulla carta doveva essere il suo asso nella manica.
Più che dignitosa l’apertura del concerto, affidata al chitarrista-cantante Allan Harris, non nuovo al festival.
Con una band molto solida e ottimi arrangiamenti, Harris fa il suo e regge benissimo il palco, anche se forse potrebbe aspirare a una maggiore visibilità scegliendo una linea musicale più definita. Molto convincente nei momenti più propriamente jazz – stellare la sua “So What”, grande classico di Miles Davis riproposto nella versione di Eddie
Jefferson che creò un testo in vocalese per il mitico assolo di tromba originale – ma decisamente meno centrato in altri brani del suo repertorio che invece virano verso un pop-soul piuttosto scontato, che poco si lega col resto.
Nell’insieme il tutto risulta gradevole, ma senza dubbio Harris è più un artista da club che da teatro.
A seguire, il nome di punta di questo Umbria Jazz Winter, la cantante Dianne Reeves, la voce jazz più rappresentativa attualmente sulla piazza.
Molto accattivante la proposta, creata appositamente per il festival: insieme alla Reeves il songbook di Burt Bacharach, gli arrangiamenti di Ethan Iverson, l’orchestra di Umbria Jazz e il chitarrista brasiliano Romero Lubambo, fedele accompagnatore da anni della cantante.
Tutti gli ingredienti giusti quindi, ma purtroppo, si sa, pur con le migliori intenzioni, non tutte le ciambelle riescono col buco quando c’è tanta carne al fuoco.
Da Iverson ci si sarebbe aspettata una ventata di freschezza in più negli arrangiamenti, piuttosto prevedibili invece, ma soprattutto e’ mancata l’amalgama tra i componenti, e conseguentemente la magia, con la Reeves visibilmente poco a suo agio, tanto da chiudere la serata senza un bis.
Un’occasione mancata quindi, che però ha ancora possibilità di acquisire maggiore spessore e solidità, visto che quella era solo la prima esibizione in programma.
Qualche piacevole sorpresa arriva invece dagli italiani, come spesso accade negli ultimi anni.
La mattina del 29 dicembre, in un Mancinelli – purtroppo – semivuoto, si è esibita l’Orchestra Nazionale Jazz Giovani Talenti diretta dal contrabbassista Paolo Damiani.
Una vera scoperta, una perla rara, un ensemble davvero nutrito, ma incredibilmente coeso, estremamente interessante sia per l’indubbio valore dei componenti – tutti eccellenti musicisti – ma anche per la raffinatezza delle composizioni proposte, esclusivamente brani originali di grande complessità ed elaborata scrittura, oltre che di grande modernità e freschezza.
Insomma, una realtà da tenere d’occhio, che di sicuro ha ancora molto da dire.
Si continua a tutta musica fino alla sera del 1 gennaio e di sicuro se ne sentiranno ancora delle belle – si spera.