E’ uscito ieri in tutte le librerie e in tutti gli store digitali il nuovo romanzo di Liliana Nechita. Si intitola “L’imperatrice”.
E’ il terzo romanzo pubblicato in Italia dopo “Ciliegie amare” edito da Laterza nel 2017 e “Piccola mamma” stampato da Pasquale Bracco nel 2020.”
“L’imperatrice” è pubblicato da FVE editori.
Il romanzo è la storia di Olga, sua suocera, il personaggio a cui la scrittrice si ispira per omaggiare la civiltà contadina romena, la terra dalla quale proviene Liliana Nechita. Olga incarna l’attaccamento primitivo alla terra, ma l’amore per la terra e la campagna viene spezzato da quel desolante fenomeno dell’immigrazione che ne provoca uno spopolamento senza pari. La possibilità di ripristinare un rapporto continuo con la campagna sembra perduta irrimediabilmente. Attraverso Olga la scrittrice racconta di quel mondo con le sue persone e i loro umori, un mondo ormai abbandonato che muore giorno dopo giorno, perché tutti partono e non tornano più indietro. È una conseguenza dell’emigrazione che affligge la società romena determinando, o quasi, la scomparsa di quel mondo agricolo il cui capo è solo la «terra» a cui tutti chinano lo sguardo.
Liliana Nechita vive a Terni da 15 anni e per vivere assiste gli anziani.
Nel 2013, in Romania, ha vinto il Premio Donna dell’anno per la promozione e la difesa dei diritti delle donne.
UN BRANO DEL LIBRO
All’apparenza burbera e spinosa come un cactus, mia suocera era in realtà dolce e soffice come un cozonac. Era la figlia maggiore dell’uomo più povero del villaggio. Si vergognava di suo padre, mentre a sua madre non faceva mai alcun cenno.
– Papà andava per strada solo con le mutande lunghe, e pure rotte in culo!
Camminava con la bottiglia di grappa al seguito, non so proprio di cosa vivessimo. Qualche volta lo chiamava qualcuno per estirpare i ceppi nodosi dal terreno. Era un lavoro duro e difficile e non certo tutti avevano la pazienza di stare metà giornata con la schiena curva a combattere con quelle dannose radici che si moltiplicavano nel terreno in tutte le direzioni. Lui aveva pazienza. Mangiava polenta e peperoncino, si scolava metà bottiglia di grappa, prendeva l’ascia e partiva ad estirpare radici. Non credo che i miei vivessero di questo. So solo che se non fosse stato per la nonna materna, saremmo morti di fame.
Olga aveva frequentato solo due classi. Non si poteva a quel tempo pensare di imparare geografia e grammatica, la gente gemeva sotto il peso della guerra, persino i lupi entravano nel villaggio, il cielo era grigio e oscurato da povertà, miseria e malattia. In realtà gli occhi non erano rivolti al cielo, ma fissi per terra, perché era proprio grazie alla terra che si mangiava.
– Ero brava, sai! Sapevo tutto, capivo velocemente, non mi contraddiceva nessuno, solo io mi prendevo cura di me. La mattina facevo due chilometri fino a valle, dalla nonna – mi aspettava con un uovo sodo. Se avevo tempo, lo mangiavo lì da lei, altrimenti lo mettevo in tasca e lo mangiavo a scuola. Poveri noi! Non come ora che i nostri figli non ne possono più del mangiare! Quando aprono i frigoriferi, il cibo cade per terra.
Solo una cosa buona hanno fatto i miei: mi hanno dato questo nome, un nome speciale, il villaggio è pieno di Ileana e Vasilica. Mi hanno raccontato che una volta hanno sentito un riccone chiamare sua moglie con questo nome, così hanno deciso di chiamarmi Olga, un nome bello e tondo come una polenta freddata dalla forma rotonda.
A sua madre ha fatto cenno solo una volta, si vede che era stata una donna così mediocre da non avere ricordi.
– Non avevo niente a che fare con lei! Vedi, il mondo prima era così stupido. Anche ora, per carità, ma prima ti faceva paura. C’erano donne che non erano mai uscite dal villaggio. Quando è arrivata la cooperativa, sono cominciati ad arrivare i camion, di quelli grandi, ci salivamo tutti sopra, e ci portavano a zappare da qualche parte lontano. Volevo morire quando ho sentito una che gridava a squarciagola: «Oddio, oddio, la fine del mondo! È la fine del mondo, poveri noi!» Un giorno successe che il camion stava attraversando un ponte e lei, vedendo che la strada in salita terminava così in aria, credette che fosse arrivata la fine del mondo! Di stupidi ce n’erano di più prima! Anch’io ho sempre avuto paura di questi, di fare la loro fine.
Dopo due anni di scuola era giunto per lei il momento di andare ad estirpare le erbacce a giornata, a raccogliere il mais, a fare qualsiasi lavoro. I soldi le servivano per vivere, da suo padre non si poteva aspettare nulla, sua madre non contava quasi niente. Olga voleva farsi subito il corredo, sposarsi e andare via di casa. Il prima possibile, aveva tanta voglia di lavorare ed era chiaro che era pronta a tutto.