DI MASSIMO PROIETTI
Per la prima volta dopo 75 anni la liberazione del popolo Italiano sarà celebrata con le piazze vuote e con gli Italiani chiusi nelle loro case e privati della libertà di allontanarsi da esse per più di duecento metri.
Quest’anno la “liberazione” non lo percepiamo, anzi, quello che sentiamo, ormai quasi tutti noi che siamo nati liberi, è la sensazione di un tuffo nel passato.
Chi scrive non ha le competenze per affermare quale sia il momento per affrontare quella che è stata definita la “FASE 2” di questa drammatica emergenza sanitaria per cui non può e non vuole arrogarsi il diritto di sostenere cosa sia giusto fare ma il buon senso, la logica ed i dati oggettivi a disposizione di tutti inducono a pensare che forse sarebbe stato un segnale patriottico, di speranza, di rinascita e di corale senso nazionale ancorare l’inizio della “FASE 2” al giorno del 25 Aprile non ritenendo che “otto giorni in più” di “reclusione” possano realmente fare la differenza in questa tragedia.
Forse tale valutazione sociologica è di poco conto e può prestare il fianco a critiche o dissensi ma credo che la scelta che qui si ipotizza avrebbe fatto bene a chi ha perso il lavoro, a chi non ha ricevuto un euro in questi 45 giorni, a chi sente parlare di miliardi, ma lo aspetta una burocrazia di cui non conosce la fine per avere un prestito che – se avrà – non basterà neppure per pagare le tasse, ed a tutti coloro che hanno sentito solo “riapriremo quanto prima”, i soldi arriveranno “quanto prima” e l’urgenza finirà “quanto prima”.
Tutto questo senza scendere su un piano tecnico-giuridico più sottile in virtù del quale questi provvedimenti non sono neppure costituzionali ed anzi, forse sono invece frustranti per quei principi che hanno ispirato gli autori della nostra costituzione all’indomani di quella famosa “liberazione”.
Se chi legge ha la pazienza di seguire ancora qualche riga del mio breve e personale pensiero sulla questione potrà verificare la bontà del ragionamento.
L’art. 16 della Costituzione stabilisce che ogni cittadino può circolare liberamente nel territorio italiano salvo i limiti imposti dalle leggi. La norma è chiara: i limiti possono essere imposti “dalle leggi” e non da un DPCM. E’ notorio che la Costituzione è la fonte normativa più importante mentre sono fonti subordinate le leggi, i decreti legge, i decreti legislativi ed infine i regolamenti ministeriali tra cui appunto il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Ciò premesso è di solare evidenza che una fonte subordinata non può derogare ad una norma di rango superiore per cui un DPCM non può modificare, abrogare o derogare ad una legge così come una legge ordinaria del Parlamento non potrebbe modificare la Costituzione. L’art. 16, quindi, riserva alla legge la possibilità di limitare gli spostamenti e non certo al DPCM, che è un atto amministrativo che non ha forza di legge e che, come i decreti ministeriali, ha il carattere di fonte normativa secondaria con l’unica finalità di dare attuazione a norme già varate dal Parlamento o dal Consiglio dei Ministri.
I vari decreti, quindi, hanno violato la Costituzione per le ragioni esposte e perché non avrebbero potuto imporre regole diverse da quelle contenute nella stessa. In realtà è stato violato anche l’art. 25 della Costituzione secondo cui nessuno può essere punito penalmente se la pena non è prevista da una legge entrata in vigore prima del fatto commesso. Apparentemente, in questo caso, il DPCM non introduce nuove sanzioni poiché rinvia ad una norma del Codice Penale, l’art. 650, ma le sanzioni sono ugualmente illegittime perché il comportamento vietato è qualificato da una norma di carattere amministrativo e non da una legge.L’art. 16 cit., quindi, è stato violato. In questo caso, opportunamente, con il DPCM del 25 Marzo 2020 “lo strafalcione” è stato eliminato ed è stata prevista una sanzione amministrativa. Ben diverso il caso del D.L. 23 Febbraio 2020 n. 6 (quello che istituiva la zona rossa) poiché in esso il Parlamento, quando era ancora in funzione, ha deliberato un decreto legge con il quale si conferisce delega al DPCM ad adottare tutte le limitazioni che potranno essere opportune per risolvere la crisi sanitaria. Per onestà intellettuale si ricorda che nel D.L. cit. si richiama un’altra norma e cioè l’art. 117 del D.L. n. 112 del 1998 secondo cui: “in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco. Negli altri casi l’adozione dei provvedimenti di urgenza, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle Regioni in ragione della dimensione dell’emergenza”. Alla luce di ciò si potrà sostenere, oggi ed in futuro, che il DPCM specifica solo una situazione emergenziale già affrontata prima con la legge per cui l’appoggio normativo sussisterebbe, ma si tratterebbe di una mera alchimia giuridica secondo cui il Parlamento eletto dal Popolo, prima di abdicare, conferisce “pieni poteri” al Presidente dell’Esecutivo. In realtà ciò è previsto unicamente dall’art. 78 della Costituzione allorché le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari ed ai sensi dell’art. 87 c. 9 Cost. il Presidente della Repubblica dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere. La costituzione italiana nulla prevede per l’ipotesi di calamità per cui non si possono comprimere o sopprimere i diritti di libertà ricorrendo all’analogia per applicare una normativa così eccezionale. E’ fatto notorio poi, che in questi giorni si è espresso pubblicamente l’ex Presidente della Consulta Sabino Cassese in ordine al fatto che il Paese è governato con atti illegittimi in quanto i DPCM, strumento meramente attuativo di leggi in vigore, sono stati trasformati in fonte primaria di diritto.
Non dimentichiamo infine che il momento economico è delicato e se allora il Paese fu liberato dalla Germania nazista oggi il pericolo di un giogo germanico di matrice economica, ma non certo meno insidioso, è altrettanto attuale e concreto.
Ed allora, in conclusione, al di la’ di ogni pensiero politico o di ogni posizione sull’argomento, credo che mai come quest’anno abbiamo appreso il significato profondo, vero e sacro della parola “libertà” e credo che mai come quest’anno vi sarebbe stato il bisogno di fare una scelta politica di buon senso decidendo di riaccendere negli italiani la fiducia e la fiaccola dell’amor patrio “il giorno della libertà”, perché la libertà è quella che eravamo abituati a vivere e non certo cantare dal balcone delle nostre “gabbie”!
L’AUTORE E’ AVVOCATO DEL FORO DI TERNI.