Di Chiara Furiani
Bisognerebbe inserirlo nella lista dei beni patrimonio dell’umanità Paolo Conte, come la Basilica di Assisi, o i Sassi di Matera.
È lui l’unico cantautore italiano in grado di non sfigurare accanto ai grandi nomi internazionali, il più amato all’estero, l’unico che abbia saputo sviluppare un linguaggio partito dalla canzone italiana, ma coniugata poi con mondi musicali anche lontanissimi, tra cui quello del jazz, con cui il nostro ha flirtato spesso e volentieri.
Per cui, tra tante presenze pop “ingiustificate” a questo festival negli anni – valga per tutti Mika come esempio più recente – quella di Paolo Conte è invece più che legittimata.
E infatti questa non é la sua prima volta a Perugia, ma il pubblico non l’ha tradito, e il Santa Giuliana era gremito al suo massimo anche in questa occasione.
Conte era anche l’ultimo dei “grandi vecchi” di questo UJ 2023, altro ottuagenario dopo Dylan e Hancock – ma pure Copeland ha già superato la settantina- e come chi l’ha preceduto ha dimostrato di avere ancora tutte le frecce al suo arco.
La voce forse è appena più incerta, ma sempre intensa, con quel suo tipico timbro arrochito di chi ha fumato tante sigarette, di chi ha vissuto cento vite, quelle dei suoi molti personaggi borderline.
Max, Via con me, Diavolo Rosso e tante altre: i grandi successi vengono sciorinati uno dopo l’altro e la qualità esecutiva resta sempre altissima.
Anche grazie alla band-orchestra di 11 bravissimi musicisti che accompagna fedelmente Conte da anni e che, elemento dopo elemento, viene presentata al pubblico riscuotendo la sua meritatissima dose di applausi.
“Sotto le stelle del jazz”, al più blasonato festival di musica afroamericana d’Italia anche stasera si è consumato il rito più bello, quelli a cui non ci si stanca mai di presenziare.
Anche stavolta, per nostra fortuna, aleggia nell’aria quella magia che solo la bella musica e la grande arte sanno regalarci.