Di Chiara Furiani
In principio era Peaches.
Prima, molto prima che arrivasse sulla piazza Lady Gaga con i suoi alter ego queer e i suoi variegati travestimenti e costumi.
E di più, molto di più.
Se fin qui avete pensato che Miss Germanotta, o anche Madonna fossero le regine anticonformiste del pop, allora non avete mai visto ne ascoltato Peaches, che fa apparire le prime due come roba da educande.
Ebbene sì, perché già a partire dagli anni ’90 per Peaches la trasgressione è il verbo, la spina dorsale di una narrazione che mette al centro la libertà di essere e apparire quello che si vuole e non quello che gli altri vogliono che siamo.
Un discorso che finisce inevitabilmente anche e soprattutto per ruotare attorno al tema di quanto una donna possa effettivamente mostrarsi libera di essere ciò che desidera in una società ancora così condizionata dall’immaginario maschile e patriarcale.
Detto così, si potrebbe pensare che Peaches sia una “barbosa e iraconda cantautrice vetero-femminista”.
Tutt’altro: sono l’ironia, il gioco, il divertimento, la messa in scena carnascialesca, lo sberleffo, il fil rouge che sottende l’intera produzione dell’artista canadese.
E manco a dirlo, la performance – sarebbe decisamente riduttivo parlare solo di concerto in questo caso – in tutto ciò la fa da padrona.
Proprio per questo motivo sarebbe fuorviante giudicare l’artista solo sotto il punto di vista musicale: gira in rete più di una recensione – forse non a caso di mano maschile – che fa a pezzi la nostra con una acredine degna di miglior causa.
Quello di Peaches è infatti uno spettacolo completo di arte totale, quasi wahroliano, che va ben al di là delle sette note, e in cui la regola numero uno è esserci dentro, corpo ed anima, senza risparmiare neanche un’oncia di sudore, senza infingimenti.
A 56 anni Peaches osa anche lo stage diving e si getta tra il pubblico, che la accoglie con calore e poi, tra un costume e l’altro, si esibisce con orgoglio anche in topless, senza timore di ostentare le imperfezioni di un corpo non più giovane.
Insieme a lei due ballerini di livello, e lo show è assicurato, senza un attimo di cedimento.
In tutto ciò non si pensi che la musica sia l’ultima ruota del carro.
L’electroclash, la dance di Peaches è frizzante, energetica, ficcante, e tutti ballano come matti, fino alla conclusione intimista con “Private Dancer”, cavallo di battaglia di Tina Turner, che la nostra canta davvero bene, dimostrandosi anche ottima interprete di ballad.
Pubblico in delirio e obiettivo centratissimo da parte del Live Rock Festival di Acquaviva (SI), che quest’anno ha superato veramente se stesso, con una line up da urlo.
Notevolissima anche la band congolese Jupiter & Okwess, adrenalina pura e compattezza invidiabile per un sound africano e allo stesso tempo profondamente internazionale, che non a caso ha portato questa compagine a calcare negli ultimi tempi palcoscenici importantissimi.
Ebbene si, esiste un universo ricchissimo e stimolante, umano ma anche culturale, al di là dei nostri ristretti confini, più avanzato di quanto saremmo portati ad immaginare.
E poi i dEUS, tra gli headliner di questo coraggioso piccolo grande festival toscano gestito solo grazie al volontariato e a ingresso totalmente gratuito.
Scomparsi dalle scene per una decina d’anni, eccoli di nuovo tra noi con un album davvero interessante “How to replace it”, che conferma la compagine belga come una delle realtà più stimolanti del panorama europeo indipendente, in bilico tra echi di Nick Cave e persino di Tom Waits, ma sempre con una loro chiara riconoscibilità.
Forse i suoni un po’ troppo impastati non hanno reso del tutto giustizia a una scrittura articolata e complessa, rendendo il live non del tutto godibile.
Ma davvero bentornati tra noi cari dEUS, ci eravate mancati.