E’ di ieri la notizia che il giudice del lavoro del Tribunale di Terni ha ritenuto corretto il comportamento di una cooperativa , la ACTL NEW controllata di ACTL, che ha sospeso dal lavoro una propria operatrice sanitaria che si è rifiutata, per suoi motivi, di sottoporsi a vaccino anti covid.
Terni, operatrice sanitaria rifiuta il vaccino. Il giudice dà ragione ad ACTL che la sospende dal servizio
In sostanza la giudice Michela Francorsi, nella sua ordinanza, ha ritenuto prevalente, rispetto alla libertà individuale di non vaccinarsi, il diritto alla salute di quei soggetti, soprattutto fragili, che entrano in contatto con l’operatrice sanitaria. Quindi ha ritenuto ragionevole “una reazione datoriale, anche in termini di inibizione nella prosecuzione del rapporto.”
In ACTL NEW, che è una piccola controllata di ACTL, si limitano a commentare con “soddisfazione il riconoscimento giudiziale delle correttezza e legittimità delle procedure adottate.”
La ACTL NEW è stata assistita dagli avvocati Eleonora Corsi e Matteo Sinibaldi.
GLI ESTRATTI PRINCIPALI DELL’ORDINANZA DEL GIUDICE DEL LAVORO DEL TRIBUNALE DI TERNI
- “Il prestatore di lavoro, nello svolgimento della prestazione lavorativa, è, dunque, tenuto non solo a mettere a disposizione le proprie energie lavorative ma anche ad osservare precisi doveri di cura e sicurezza per la tutela dell’integrità psico-fisica propria e di tutti i soggetti terzi con cui entra in contatto. Si ritiene, in accordo con la giurisprudenza sopra citata, che la disposizione in esame rivesta natura precettiva, con conseguente sanzionabilità giuridica di comportamenti difformi dalla medesima, atteso che il legislatore fa ricorso, in plurime occasioni al verbo “dovere”, prescrivendo o proibendo poi specifici comportamenti utili a garantire la sicurezza sul luogo di lavoro. Ed invero, è imposto al lavoratore l’obbligo di prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui possono ricadere gli effetti delle sue azioni od omissioni (art. 20, comma 1, d.lg. n. 81/08) nonché quello di osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro (art. 20, lett. b) e di utilizzare i dispositivi di protezione messi a disposizione (art. 20, lettera d). Si tratta di obblighi cautelari “specifici”, la cui violazione integra un addebito a titolo di “colpa specifica”, che incidono nella determinazione del concorso di colpa della vittima» (v. ex multis, Cass., 6.12.2011, n. 4397). “Il prestatore di lavoro è quindi titolare di precisi doveri di sicurezza e, pertanto, deve essere considerato soggetto responsabile a livello giuridico dei propri contegni. Si osserva poi che, a opinare diversamente e così ad escludere un obbligo (giuridicamente rilevante) di collaborazione da parte del prestatore di lavoro in materia di sicurezza sul lavoro, si depotenzierebbe in misura più che significativa l’obbligo di sicurezza cui il datore di lavoro è sicuramente astretto ai sensi dell’art. 2087 c.c. Obbligo di sicurezza e di prevenzione di centrale importanza per l’ordinamento tanto che la sua trasgressione da parte del datore di lavoro lo espone, sul piano civilistico, a responsabilità risarcitoria (di natura colposa e non già oggettiva, cfr. in proposito ex multis Cass., 29.3.2019, n. 8911) sia nei confronti del prestatore di lavoro che di terzi in virtù del disposto di cui agli artt. 1218 e 2043 c.c. (cfr. in tal senso ordinanza tribunale di Modena in data 19/05/2021, estensore Martinelli). La disposizione in esame contempla infatti un obbligo di prevenzione che: «impone al datore di lavoro di adottare non solo le particolari misure tassativamente imposte dalla legge in relazione al tipo di attività esercitata, che rappresentano lo standard minimale richiesto dal legislatore per la tutela della sicurezza del lavoratore, ma anche tutte le altre misure che in concreto siano richieste dalla specificità del rischio, atteso che la sicurezza del lavoratore costituisce un bene di rilevanza costituzionale (art. 41 Cost., comma secondo, che espressamente prevede limiti all’iniziativa privata per la sicurezza) che impone – a chi si avvalga di una prestazione lavorativa eseguita in stato di subordinazione – di anteporre al proprio legittimo profitto la sicurezza di chi tale prestazione esegua» (Cass., 30.8.2004, n. 17314). Come affermato in termini qui condivisi nell’ordinanza 328/2021 dal Tribunale di Belluno, è da “ritenere prevalente, sulla libertà di chi non intenda sottoporsi a vaccinazione contro il Covid-19, il diritto alla salute dei soggetti fragili che entrano in contatto con gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario, in quanto bisognosi di cure, e, più in generale, il diritto alla salute della collettività, nell’ambito della perdurante emergenza sanitaria derivante dalla pandemia da Covid-19”.
· “D’altra parte come è stato correttamente rilevato, con motivazione che si condivide anche ai sensi dell’art. 118 disp. Att. cpc “A fronte di un contegno non pienamente collaborativo sul versante della sicurezza a cura del prestatore di lavoro può ritenersi quindi ragionevole – in base alle circostanze del caso concreto e all’entità della mancanza – una reazione datoriale, anche in termini di inibizione nella prosecuzione del rapporto. Del resto, specularmente: «In caso di violazione da parte del datore di lavoro dell’obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 cod. civ., è legittimo, a fronte dell’inadempimento altrui, il rifiuto del lavoratore di eseguire la propria prestazione, conservando, al contempo, il diritto alla retribuzione in quanto non possono derivargli conseguenze sfavorevoli in ragione della condotta inadempiente del datore» (cfr. Cass., 1.4.2015, n. 6631)“;
- “Come correttamente evidenziato da parte convenuta, proprio per arginare le nefaste conseguenze che il virus può comportare per le suddette categorie, la Regione Umbria ha promosso, a partire dal gennaio 2021, una campagna di vaccinazione di massa del personale socio-sanitario e, segnatamente, dei soggetti che operano all’interno delle case di cura e di riposo o, in generale, che prestano assistenza ai disabili e/o agli anziani. Non può poi non evidenziarsi che (Istituto Superiore Sanità) ha più volte chiarito nelle linee guida come la vaccinazione, benché non azzeri né il rischio di contrazione della malattia né il rischio della sua trasmissione, tuttavia diminuisce entrambi gli eventi avversi, avendo evidenziato come “Gli studi clinici condotti finora hanno permesso di dimostrare l’efficacia dei vaccini nella prevenzione delle forme clinicamente manifeste di COVID-19, anche se la protezione, come per molti altri vaccini, non è del 100%. Inoltre, non è ancora noto quanto i vaccini proteggano le persone vaccinate anche dall’acquisizione dell’infezione. È possibile, infatti, che la vaccinazione non protegga altrettanto bene nei confronti della malattia asintomatica (infezione) e che, quindi, i soggetti vaccinati possano ancora acquisire SARS-CoV2, non presentare sintomi e trasmettere l’infezione ad altri soggetti. Ciononostante, è noto che la capacità di trasmissione da parte di soggetti asintomatici è inferiore rispetto a quella di soggetti con sintomi, in particolare se di tipo respiratorio”. Sulla base degli studi scientifici attuali, dunque, la vaccinazione è efficace ai fini dell’abbattimento del rischio di contagio per sé e per il prossimo, di tal che l’imposizione di un obbligo in tal senso nello specifico settore sanitario, alla luce del contemperamento fra l’interesse individuale alla libera scelta vaccinale e l’interesse collettivo alla salute pubblica, non è irragionevole. Non va poi sottaciuto che il giudizio di inidoneità ai sensi del dls.vo 81/2008 e del DVR aziendale aggiornato, è stato confermato dalla Asl proprio facendo espresso richiamo a detta normativa sebbene vi sia un accenno al d.l. 44/2021 nelle more entrato in vigore.“;
- “Ed invero, il contegno omissivo serbato dalla ricorrente, certamente non rimproverabile a livello soggettivo, ha, tuttavia, inciso in maniera oggettiva, sopravvenuta e significativa sul sinallagma, rendendo di fatto impossibile la fruizione della prestazione da parte della convenuta che ha visto frustrato il proprio interesse individuale (così come obiettivizzato nel contratto di lavoro) e che quindi si è legittimamente risolta nel sospendere temporaneamente il rapporto di lavoro, fino a completa vaccinazione. Tale determinazione, che appare scevra da ogni giudizio sui convincimenti personali della lavoratrice, che si ritiene adeguata e proporzionata, nella misura in cui non elide istantaneamente e in via irrecuperabile il rapporto ma si limita temporaneamente a sospendere l’efficacia del rapporto“.