Riportiamo il testo integrale
«Ad ogni evento commemorativo per vittime di guerre e similari inizia inevitabilmente un profluvio prolisso di concetti vaghi e luoghi comuni che offendono la minimale intelligenza, spesso espressi da guerrieri virtuali e statisti in sedicesimo. Ho recentemente commentato che la guerra è il fallimento estremo della politica, ovvero una crisi sistemica delle relazioni umane, tuttavia essa non è provocata da eventi imponderabili come il moto retrogrado di Nibiru, bensì da decisioni, spesso sconsiderate, prese dai responsabili istituzionali, ovvero da coloro che i cittadini, in un normale sistema democratico, hanno liberamente eletto. Soprattutto, essa provoca vittime, nessuna di serie B, nessuna derubricabile come “dalla parte sbagliata”, a fronte delle quali torti e ragioni sarebbe opportuno tacessero. E’ fatto noto ed indiscusso che il livello medio di coloro che abbracciano la “carriera politica”, sotto il profilo qualitativo, è progressivamente peggiorato, esponendo gli stessi a inevitabili condizionamenti di poteri esterni, ciononostante la responsabilità formale di scelte cruciali che coinvolgono popolazioni e intere nazioni a rischi esiziali, rimane in capo a costoro, che sono poi gli stessi che esprimono commenti retorici e insensati sulle conseguenze delle loro decisioni. Le guerre fanno parte della natura umana, Caino e Abele, secondo il libro della Genesi, si sono scontrati per motivi futili, pur vivendo in un mondo deserto, rivelando così uno dei lati più oscuri dell’essere cosiddetto raziocinante. Ogni guerra è stata combattuta per ragioni economiche, mimetizzate da motivi più o meno nobili come la libertà, la religione, l’onore o migliori condizioni di vita dei cittadini, generando alcune costanti ricorrenti, ovvero l’arricchimento di pochi, immani distruzioni e innumerevoli vittime, in quella che rimane, in sostanza, una strage su vasta scala. Dalla fine della seconda guerra mondiale il mondo ha evitato una nuova tragedia collettiva essenzialmente perché la diffusione delle armi nucleari tra le maggiori potenze ha promosso la teoria della mutua assicurata distruzione (acronimo MAD, ovvero mutual assured destruction), convincendo i capi di Governo che non avrebbero potuto colpire e distruggere eventuali nemici poiché l’arma nucleare, posseduta da entrambi, avrebbe provocato la reciproca inevitabile distruzione, senza lasciare spazio a prevedibili Dottor Stranamore e alle folle teorie di danni e vittime accettabili. Collateralmente a questa situazione, si è andata sviluppando quella che gli analisti militari definiscono “terza guerra mondiale a pezzi”, per il numero elevatissimo di conflitti attualmente in atto nelle varie parti del mondo, molti dei quali collegati tra loro in un perverso effetto domino, ma sconosciuti al pubblico e silenziati dal mainstream. Quello che appare sorprendente è che imbecilli in posizioni di rilievo sembrano non comprendere un assioma che viene esplicato in qualsiasi corso per Ufficiali di Stato Maggiore, ovvero che “una potenza nucleare non può subire una sconfitta strategica con armi convenzionali”. Ecco spiegata la strana situazione nell’attuale contesto geopolitico globale nel quale, apparentemente, i soldati di professione sembrano essere i più convinti pacifisti rispetto ai loro referenti politici, hooligans inconsulti di un bellicismo d’accatto, molto lontano dall’interesse nazionale, che dovrebbe essere il vero ed unico motivo per mantenere e aggiornare un’adeguata struttura militare difensiva, sul concetto sempre valido del “si vis pacem para bellum”. Ma, mi chiedo, retoricamente, è ovvio, quanti di costoro conoscono il mestiere del soldato e la realtà della guerra al punto da proporla ai loro ignari cittadini come un’opzione accettabile, addirittura conveniente e, secondo loro, inevitabile? Quanti comprendono la perdita dell’innocenza e di una parte rilevante di umanità che subisce chiunque abbia veramente combattuto. Chi di loro conosce l’odore acre del sangue e quello pervasivo dei cadaveri sparsi, che si presentano in infinite notti complicate? Chi di costoro è andato in un qualunque cimitero militare nel quale aleggia sempre una domanda alla quale è molto difficile rispondere, ovvero perché tutto questo? Quale è la ragione di file di tombe che narrano di afflati di vite non vissute, perse per ragioni discutibili e variabili nel tempo, nel quale ex nemici si scoprono nuovi soci in lucrosi affari? Con qualche giustificata riluttanza, ma in ossequio ai principi costituzionali, mi trovo ancora d’accordo sul pensiero di Georges Clemenceau nel suo assunto che dice “la guerra è una cosa troppo seria per lasciarla in mano ai militari”. Ma in parallelo penso che i cittadini meritino politici migliori e mi auguro sinceramente che ciò possa avvenire prima che il metaforico “orologio dell’apocalisse” (teorizzato dal “Bulletin of the atomic scientist”) consumi l’ultimo secondo. Per gli amanti della precisione storica, quando esso fu creato, venne impostato a sette minuti prima dell’ipotetica fine del mondo, attualmente (2025) siamo a 89 secondi, Certamente un significativo risultato per i vari governanti che sino ad oggi si sono succeduti, indipendentemente dal loro orientamento politico e dalla latitudine geografica di residenza».