Il 25 settembre del 1967 usciva in America Strange days secondo Long Playng della Band The Doors a distanza di solo sette mesi dall’album di esordio, l’omonimo The Doors, con cui la band aveva dato prova di autentica bravura, forza creativa ed originalità. Il primo album era stato accolto da un enorme successo tanto di pubblico che di critica suggerendo alla casa discografica (l’Elektra) e di conseguenza alla band stessa di sfruttare al massimo l’onda dell’entusiasmo e la particolare fervente ispirazione creativa del gruppo. Si sa che il secondo album costituisce sempre una dura prova da superare per un qualsiasi musicista chiamato a fornire una conferma del proprio talento soprattutto dopo un esordio così eclatante. Ebbene i The Doors non delusero le aspettative sfornando un nuovo lavoro per tanti fans e per tanti critici musicali ancor migliore del primo. Un album che ancor oggi, a 50 anni esatti di distanza, mantiene intatta una bellezza ed una originalità notevole tanto da farne, probabilmente, una delle pietre miliari del rock.
La fama dei The Doors è strettamente legata a quella del loro frontman e carismatico leader Jim Morrison, una fama ancor oggi viva e vegeta che spesso sfiora l’idolatria e, diciamocelo, maggiormente basata sui suoi eccessi e sulla sua vita sregolata, sul suo smodato e disinvolto uso di alcool e stupefacenti (che ne decretò la morte nel 1971), che non su un giudizio squisitamente estetico / artistico sulla loro musica o sulla vena creativa. Si è detto e scritto molto sulla figura di Morrison creando un mito che vende molto, ma molto bene e che cerca di esaltare, troppo spesso acriticamente, il suo presunto genio, ma inevitabilmente Morrison è divenuto un punto di riferimento per tutti coloro che cercano, in qualche modo, di giustificare l’uso di droghe e l’abuso di alcool come unica strada capace di aprire quelle porte della percezione altrimenti precluse all’esplorazione della mente umana. La strada, in qualche modo, spalancata dagli illustri precedenti rintracciabili nell’opera di un William Blake o dei poeti maledetti , primo su tutti Baudelaire, una strada oramai segnata e divenuta quantomai cliché tanto alla moda per gente, o pseudo artisti, totalmente priva di originalità che tenta di giustificare con una parvenza interessante il proprio fallimento intellettuale, artistico: umano.
La parabola esistenziale del Morrison, morto a solo 28 anni, e la conseguente fama che venne conquistandosi, il mito che seppe costruirsi in vita, non può assolutamente essere separata, ovviamente, dal contesto storico in cui si trovò a vivere: l’America del Vietnam e quindi della propaganda bellica di stato, l’America borghese e capitalista, retorica e bigotta che veniva scossa dalle proteste studentesche, dalla moda hippy e dalla beat generation, dal fenomeno rock che imperversava ormai sulla scena musicale come un martello pneumatico dissacrante, era un’America in piena rivoluzione sociale, era l’America degli stupefacenti, dell’LSD, dell’Absolutely free. Morrison seppe cavalcare l’onda, assecondare la protesta, dare voce ai contrasti ed alle contraddizioni diventando un simbolo di disobbedienza e libertà e ben presto anche il simbolo negativo per eccellenza per quella società contro la quale era entrato in aperto conflitto e con cui mai seppe scendere a compromessi fino alle più estreme conseguenze.
Ma cosa rimane di Morrison 50 anni dopo la nascita del suo mito? Come lo potremmo considerare oggi? Cosa rimane della musica dei The Doors?
50 anni dopo non solo l’album Strange days, ma un po’ tutta la loro opera musicale (salvo qualche evidente distinguo), continua a suonare e a farsi ascoltare meravigliosamente bene, ma varrebbe finalmente la pena di considerare l’album come un lavoro di gruppo, non solo del carismatico Morrison che da sempre ha offuscato la fama e la considerazione di tutti gli altri componenti. Sarebbe finalmente arrivato anche il momento di smitizzare la figura del Morrison e separare la sua ingombrante presenza extra artistica dalla considerazione della giusta valenza che merita l’opera musicale del suo gruppo. Purtroppo, oggi, come ieri, troppo spesso ci si avvicina alla loro produzione musicale, o al contrario ci si allontana, solo per i già ricordati motivi, per la fama che precede i The Doors ed ancor prima Morrison, una fama che continua ad alimentare quella che oggi definiamo ‘cultura dello sballo’.
A ben guardare la società di oggi non è poi così cambiata da allora, certamente molto più globalizzata, ma di sicuro ancora particolarmente deficitaria nel versante dei diritti civili; è certamente cambiato il contesto politico, non si parla più di guerra fredda, ma la minaccia nucleare non sembra per niente scongiurata, la guerra in Vietnam è certamente finita, ma di teatri bellici in giro per il mondo non mancano purtroppo, in più, oggi, l’intero pianeta è percorso e sconvolto dalla minaccia del fanatismo fondamentalista, il tutto esasperato e reso ancor più acceso dai mass media, primo fra tutti internet con i suoi nuovi fenomeni sociali.
Insomma l’umanità continua a convivere e fare i conti con nuovi e vecchi problemi, ma di sicuro abbiamo, oggi, raggiunto una completa e sicura consapevolezza che probabilmente negli anni ’70 dello scorso secolo poteva ancora risultare labile: la totale inutilità ed inconsistenza nonché pericolosità degli stupefacenti e dell’alcool. Il nuovo millennio ha ormai relegato per sempre il periodo del sex, drug & rock n roll all’epica musicale del ‘900 come esperienza irripetibile ed inimitabile ormai esaurita, conclusa. Ogni tentativo di volerla riesumare apparirebbe come un inevitabile ‘scimmiottamento’ dal sapore stantio ed obsoleto e sarebbe anche il caso di trovare nuove fonti d’ispirazione ed una vena creativa che non faccia ricorso ai paradisi artificiali di un Baudelaire, ma come insegnava Mallarmé, casomai, trovi nella lucidità della mente la vera sorgente.
L’abuso di stupefacenti ed alcool da parte del Morrison, così come di tanti altri suoi colleghi, sono stati spesso giustificati come espressione di quella sregolatezza che certificherebbe la genuinità del genio come sua caratteristica imprescindibile, mentre oggi potremmo essere sicuramente più cauti e sicuri nell’affermare che, al contrario, di sintomi di una personalità troppo sensibile e fragile che si scontra con una situazione dura e difficile da accettare, forse si potrebbe trattare (pur rimanendo, per carità, tratti distintivi della genialità). Il non saper scendere a compromessi con una simile realtà può effettivamente portare a cercare strade alternative tra le quali lo stordimento totale per evitare il confronto pur sapendo di scivolare verso l’autodistruzione, ma qualcuno si è mai chiesto quanto Morrison fosse ormai dipendente dalla droga e dall’alcool? E quanto di maturo può esserci nell’atteggiamento di un individuo che preferisce stordirsi piuttosto che guardare negli occhi la difficoltà che la vita propone? Il rifugiarsi nello stordimento non è forse una presa di coscienza della propria debolezza? L’accettazione della resa, la consapevolezza della propria impotenza? Spesso della vicenda umana ed artistica del Morrison è stato evidenziato ed accostato l’elemento dionisiaco di visione nietzschiana, spesso, troppo spesso, trascurandone, però, l’aspetto tragico che assunse per Morrison e tralasciando di specificare che dionisiaco non è un sinonimo di alcolizzato o drogato e che il termine assume filosoficamente un significato ben più complesso e profondo. In Nietzsche diviene anzi un antidoto al pessimismo che la decadenza può generare, mentre Morrison sembrerebbe maggiormente erigersi ed incarnare proprio il simbolo della decadenza scontando su di se i mali e le debolezze di un’intera epoca come lo fu, forse, per un Baudelaire nella Francia di fine ‘800.
A 50 anni di distanza, quindi, bisognerebbe smettere di esaltare il mito di Morrison che serve solo ed esclusivamente ad alimentare il merchandising che c’è dietro, quel consumismo becero che tutto fagocita e che in realtà costituirebbe la vera negazione delle idee e dell’arte espressa dallo stesso Morrison, di un mezzo cioè utile ad elevarsi oltre i confini, oltre le porte del percepibile. Ed è proprio questo che dovrebbe cercare oggi un giovane che si vuole avvicinare alla musica dei The Doors, l’elemento artistico, la bellezza compositiva, la profondità e la sfrontatezza dei contenuti dei componimenti poetici e dei testi delle canzoni del Morrison, lì troverà la vera essenza che ha fatto grande questa band, il coraggio della ribellione, la forza della contestazione. Il giovane d’oggi si deve avvicinare a quest’arte con i giusti strumenti di una sana e ponderata critica per riuscirne a godere veramente della bellezza e potenza innovativa. Così come questo nuovo millennio ha bisogno di giovani che sappiano fare dell’elemento dionisiaco una componente di forza vitale, rintracciabile nella musica dei The Doors, che diventi potenza d’ispirazione dirompente e dinamica contro la decadenza.
Che sia il vigore dell’ossigeno che spalanca i polmoni e alimenta cuore e mente a creare finalmente i presupposti del genio, perché sinceramente i vapori dell’alcool che offuscano la mente, le farneticazioni da sciamano delle droghe ci hanno abbastanza nauseato e annoiato.
Alcool, droghe, stupefacenti e sostanze psicotrope varie altro non sono che illusioni capaci di creare uno stato apparente di libertà e che sembrano fornire gli strumenti per una perfetta contestazione quando, al contrario, non sono altro che gli strumenti per il più completo servilismo, gli strumenti che la mediocrità crea per ingabbiare ed eliminare anche gli spiriti più illuminati e ribelli.