Un bellissimo post del giornalista del TG1, inviato in zone di guerra, Amedeo Ricucci, dedicato al suo operatore preferito che lo ha accompagnato in tanti viaggi pericolosi, Simone. Simone è di Terni e dopo aver attraversato tanti rischi in giro per il mondo, schivando i proiettili dell’ISIS, lo ha colpito un nemico invisibile , il covid-19.
E’ lo stesso Simone, comunque, a rassicurare Ricucci che ora va molto meglio. Lo scrive il giornalista che rende pubblico il suo affetto per Simone “il compagno ideale dall’accento ternano esibito con orgoglio”.
DI AMEDEO RICUCCI
CRONACHE DAL FRONTE (15° puntata)
“Il virus? Me lo sento dentro. E’ come se avessi un ospite che si muove a suo piacimento, contro la mia volontà, dentro il mio corpo”. Per fortuna il mio amico Simone sta guarendo. E dal suo letto d’ospedale, al telefono, le sue parole sono per me pennellate vivide che, con grande efficacia, riescono quasi a farmelo vedere, a materializzarne l’immagine di questo piccolo mostriciattolo che abbiamo imparato a conoscere sotto il nome di COVID 19 e che lo sta tormentando da 20 giorni.
“Lo senti quando respiri – mi spiega – come un soffio caldo che ti sale da dentro e che ti toglie il respiro. Qualcosa che non è tuo, che non fa parte di te, lo riconosci. Ed è questa per me la sensazione più brutta. E’ come se avessi un ospite che si ribella al mio corpo, che vuole piegarlo al suo volere. Non è come quando si ha una banale influenza, no.”
Simone è l’amico e il compagno di tante avventure. Con lui abbiamo schivato i proiettili dell’ISIS in tante battaglie – a Sirte, a Mosul, a Raqqa; ci siamo intossicati con il fumo dei pozzi di petrolio dati alle fiamme a Qayara; abbiamo fatto La Lunga Marcia- a piedi e in autobus – assieme ai profughi siriani che nell’estate del 2015 da Lesbo sono arrivati a Vienna; abbiamo sguazzato nel fango dei campi profughi Royingha, schivando germi e batteri. Abbiamo sempre lavorato ventre a terra e fianco a fianco, proteggendoci a vicenda e rassicurandoci quando buttava male. Solo un mese fa un missile Grad ci è passato di un soffio sopra la testa mentre ce ne stavano cheti cheti all’aeroporto di Tripoli, in Libia. E lui, fermo come una roccia, impassibile, è stato prontissimo a riprendere la scena con la sua telecamera. Un mito, il mio Simone, il compagno ideale per un giornalista un po’ pazzo e molto esigente quale io sono. Scherzando gli dico sempre che lui in realtà sarebbe “inesportabile”, per via del suo accento ternano esibito con orgoglio e anche per una certa diffidenza istintiva per il cibo che non sia delle parti sue. Adora il pollo, però – “lu pollastru”, come lo chiama lui, con gli occhi che ridono – e riesce a mangiarne a quintalate. Mi viene in mente che una volta, a un pranzo in nostro onore, nel Kurdistan iracheno, ce ne portarono due interi, di polli, e noi eravamo in tre. Ebbene, Simone si mise di buona lena e li mangiò da solo tutti e due, arrivando a spolparne le ossa con una tale cura – e gusto – che lo scheick che ci ospitava non sapeva più dove guardare.
Simone guarirà. Sta già molto meglio e il suo umore è tornato ad essere quello di prima.Ma dal suo letto d’ospedale continua a dirmi di fare attenzione, perché questo è un virus bastardo, che non fa sconti a nessuno. Io resto qui ad aspettarlo, tutto il tempo che servirà, perché per me Simone è come un figlio – forse esagero, diciamo allora un fratellino – e comunque senza di lui non mi diverto più ad andare in giro per il mondo.
P.S. In foto Simone a Makhmour, nel Kurdistan iracheno, nell’ottobre del 2016, all’inizio della offensiva per riconquistare la città di Mosul