Si intitola “Io Curatore” ed è il testo autobiografico del “volontario dell’arte” Giuseppe Salerno. L’opera è stata presentata nel caffè letterario della biblioteca comunale da Isabella Cruciani e Franco Profili.
“Essere volontari dell’arte, ha spiegato Giuseppe Salerno, sostanzialmente significa essere animato da grande passione nei confronti dell’arte e nel mio caso nei confronti degli artisti, perché per me il rapporto con loro, la conoscenza del loro percorso, mettere in relazione gli artisti è un modo per far crescere ulteriormente quell’afflato che viene dall’arte. C’è un concorrere anche tutti insieme a definire pure dei discorsi che finiscono sul sociale perché l’arte è sempre interpretazione del mondo che ci circonda, è una lettura. Quindi quando gli artisti si mettono in relazione tra di loro questa lettura diventa ancora più interessante perché si arricchisce, ogni artista si arricchisce della presenza dell’altro. Pur rimanendo le loro ricerche sempre e comunque individuali, c’è una sorta di condivisione di questa passione che è la stessa che anima me.”
Ma come è cambiata l’arte e la sua fruizione da parte dei non addetti ai lavori nei tuoi quarant’anni di attività?
“L’arte negli ultimi decenni, già dal secolo scorso, ha subito come un processo grave di omologazione, per cui in ogni parte del mondo si tende a fare le stesse cose e cioè i cinesi fanno ciò che gli americani gli hanno insegnato, mentre la Cina ha delle tradizioni veramente antiche che vengono dimenticate da questi artisti che si definiscono contemporanei perché fanno propri dei modelli che sono poi americani. Questo avviene in tutto il mondo ed è una perdita grave, una perdita grave delle identità locali. L’identità locale passa sempre attraverso l’arte e quindi l’artista deve essere espressione di un territorio, interprete di un luogo. Invece questa aurea di internazionalità che tutti si vogliono dare altro non è che omologazione. Il mio pensiero è quello invece di ricollegare gli artisti al territorio. L’artista deve essere espressione di antiche radici nel territorio, delle specificità del territorio. In questo modo l’arte serve a mantenere il passato e a proiettarlo nel suo futuro, in un cammino certamente unico di ogni luogo. Se noi consideriamo che l’arte è la messa in scena del sentire di un artista, il sentire cos’è? È il rapporto tra l’artista e la società che lo circonda e quindi l’arte è una visione critica del mondo, una visione che dovremmo avere tutti a prescindere dall’essere artisti. Il fruitore è un individuo che come gli artisti dovrebbe tenere desta questa visione critica, questa capacità di dire la sua, avere un proprio pensiero, un proprio sentire e manifestarlo. Se capiamo che l’arte è espressione proprio di questo allora chi è il fruitore? È chi si trova di fronte a delle manifestazioni d’arte, sosta di fronte a un’opera, impegna il suo tempo lì davanti e forse gli verrà un’idea, arriverà un pensiero o avvertirà un’emozione. Il problema è che siamo tutti di passaggio veloce, cioè tutti consumiamo molto rapidamente tutto e di fronte a delle opere d’arte, ma non soltanto, di fronte a qualunque cosa noi passiamo, non vediamo o se vediamo non osserviamo. È soltanto dall’osservazione che nasce un pensiero, una riflessione. Guardare non è sufficiente. Frequentare l’arte significa imbattersi in situazioni create da artisti e soffermarsi a riflettere, a pensare. Ecco allora che quando vediamo tante cose forse cominciamo a capire qualcosa di più. Se abbiamo la pretesa, non essendo mai andati ad una mostra, di trovarci di fronte a un’opera, dire ‘non ci capisco niente’ è normale.”