Di Chiara Furiani
Paese che vai, festival che trovi.
Mentre in Italia impazzava il toto-Sanremo e i giornali riempivano le proprie pagine discettando di sneakers e ballo del qua qua, per fortuna, parafrasando i Matia Bazar, “c’è tutto un mondo intorno che gira ogni giorno”.
A chilometri e chilometri di distanza dalla città dei fiori, a Zanzibar, Tanzania si svolge in questi stessi giorni il “Sauti za Busara”, uno degli eventi musicali più elettrizzanti dell’intero continente africano.
Una tre giorni che riunisce a Stone Town, storica capitale dell’arcipelago zanzibarino e sito Unesco, un folto numero di band da tutto il continente, sopra e sotto l’equatore.
Su tre diversi palchi, a partire dal pomeriggio, c’è solo l’imbarazzo della scelta e il livello è davvero altissimo.
Se l’Africa è stata la culla dell’umanità, lo stesso si può dire senza dubbio per la musica moderna: senza la pluri-secolare tratta degli schiavi verso Nord, Centro e Sud America e la forzata esportazione del ricchissimo e ritmicamente complessissimo patrimonio musicale di tradizione, non sarebbero nati poi una infinità di generi come il jazz, il reggae, ma neanche il rock e il pop.
Anche nell’Africa di oggi le sette note non hanno smesso di giocare un ruolo importantissimo, la produzione è immensa e se il richiamo alle radici, alle sonorità antiche e alla strumentazione di tradizione è forte, la grande vitalità di questo universo ha saputo evolversi anche dialogando coi linguaggi derivativi dall’altra parte dell’oceano, come jazz e funky.
A farla da padroni sono i ritmi afrobeat declinati in varie modalità e vari idiomi a seconda della provenienza geografica: Nigeria, Zimbabwe, Sudafrica, Congo, Tanzania, Kenya, Zambia, Isole Reunion…
Ma l’offerta è davvero ampia, e molto più sfaccettata di quello che si potrebbe pensare.
Impossibile resistere all’energia sprigionata dalle potenti performance, in un crescendo di emozioni che coinvolge anche un amplissimo pubblico internazionale, sempre più affezionato a questo appuntamento.