Harald Espenhahn, ex amministratore delegato, e Gerald Priegnitz, dirigente della ThyssenKrupp, sconteranno cinque anni di carcere in Germania per la morte dei sette operai nel rogo della fabbrica di Torino, divampato la notte tra il 6 e il 7 dicembre 2007. Lo ha deciso la corte distrettuale di Essen, la città della ThyssenKrupp, che ha dichiarato attuabili le condanne rispettivamente a nove anni e dieci mesi e sette anni e sei mesi inflitte il 13 maggio 2016 dopo la sentenza della Corte di Cassazione, adeguandole però alle pene previste per quel reato nel loro Paese d’origine, ossia la Germania. I giudici hanno quindi respinto i ricorsi dei due imputati e hanno disposto un nuovo arresto. Dopo più di dodici anni giunge ad una qualche conclusione una vicenda giudiziaria connotata da una serie di complicate e in alcuni casi sorprendenti e particolari vicende.
Già all’avvio ci fu una novità assoluta: non era mai accaduto che ai dirigenti di una fabbrica venisse contestata l’accusa di omicidio volontario in occasione di incidenti mortali sul lavoro. Ma proprio in questa ottica, Raffaele Guariniello Procuratore della Repubblica di Torino aveva aperto la sua inchiesta.
Si parla di Ast, di Acciai Speciali Terni; e tornano alla mente quegli anni di tante battaglie sindacali ed operaie condotte praticamente dal momento dell’arrivo del secondo millennio; degli scioperi generali; delle “missioni” a Roma dei pullman di operai, di proteste sotto i palazzi del Governo, di ansia per il futuro delle acciaierie di Terni e dell’economia cittadina. Ma si parla anche di un management il quale, come assicurava l’amministratore delegato di Ast, Harald Espenhahn, era deciso a dar corso alle decisioni e agli investimenti (si parlava di 500 milioni di euro) tramite i quali TK voleva far diventare Terni il polo europeo dell’acciaio inossidabile. Proprio il 6 dicembre, poche ore prima della strage, Espenhahn lo aveva ribadito ai vertici nazionali dei sindacati.
L’Ast, nel settembre 2007 aveva chiuso l’esercizio con un utile netto di 2,19 miliardi di euro (+28,%); il fatturato era cresciuto del 10% ed era pari a 51,7 miliardi; l’utile pre-tasse era stato di 3,33 miliardi, il dividendo era salito a 1,3 euro (da uno) per azione.
Era in questo quadro che si stava procedendo allo smantellamento della linea di produzione di Torino: quella fabbrica avrebbe dovuto chiudere nel giugno 2008, sette mesi dopo. Ma non era certo giustificabile, nel frattempo, non vigilare sulla sicurezza in fabbrica.
Ed invece, quella notte avvenne una tragedia. Sette operai persero la vita. Alcuni subito, altri dopo una lunga agonia durata giorni e giorni.
Il Procuratore Guariniello concluse l’indagine imputando Espenhahn di “omicidio volontario con dolo”, perché nonostante la ThyssenKrupp avesse dichiarato di aver “continuamente mantenuto elevati standard di sicurezza” testimonianze e perizie sostennero tutt’altro: “estintori scarichi,idrante mal funzionante, assenza di personale specializzato nei soccorsi”, riferì Cesare Durante segretario della Fiom.
Per la Procura della Repubblica di Torino il management dell’Ast ed Espenhahn in primis avevano “precisa conoscenza della precarietà dei sistemi di sicurezza”.
Nel 2011, dopo un processo durato otre due anni e 94 udienze Espenhahn fu condannato a 16 anni e mezzo di reclusione, e con lui condannati Gerald Preignitz, Marco Pucci, Raffaele Salerno, Cosimo Cafueri (per ciascuno i loro 13 anni e 6 mesi di reclusione), Daniele Moroni (10 anni e 10 mesi).
In appello le pene furono meno pesanti. Il capo di imputazione fu derubricato: escluso il dolo, da omicidio volontario diventò “omicidio colposo con colpa cosciente” per cui Espenhahn fu condannato a 10 anni di reclusione. Anche gli altri imputati ebbero riduzioni di pena: 9 anni a Moroni, 8 anni e mezzo a Salerno, 8 a Cafueri, 7 ciascuno a Priegnitz e Pucci. Tali pene, dopo il ricorso in Cassazione, furono rideterminate in un secondo processo di appello: nove anni e otto mesi per l’amministratore delegato Harald Espenhahn, sei anni e dieci mesi per i dirigenti Marco Pucci e Gerald Priegnitz, sette anni e sei mesi per il direttore dello stabilimento Daniele Moroni, sette anni e due mesi per l’ex direttore Raffaele Salerno e sei anni e otto mesi per il responsabile della sicurezza Cosimo Cafueri.
Ma non furono solo i capi di imputazione particolarmente gravi o gli esiti dei processi a dare alla vicenda caratteri del tutto particolari. Espenhahn, già condannato in primo grado, ad una riunione di Confindustria a Bergamo, fu accolto da un lungo, scrosciante applauso di solidarietà: “Non è in discussione il nostro impegno per la sicurezza, ma una condanna a 16 anni per omicidio volontario è un unicum in Europa, se passa questa logica nessuno farà più investimenti in Italia”, disse al Corriere della Sera Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria.
E poi c’era la disparità della sorte dei condannati: Espenhahn e Priegnitz, tornati in Germania, restavano in libertà, mentre i manager italiani sono tutti finiti in carcere. La decisione della corte distrettuale di Essen, in parte, rende almeno su questo fronte, una certa – seppure incompleta – equità.