Le questioni legate al problema dell’Ilva di Taranto contribuiranno a mettere un po’ più in chiaro l’atteggiamento del governo italiano in merito alla produzione di acciaio nel nostro Paese. Con tutti i limiti dovuti al fatto che si parla di imprese private, il Governo deve decidere: l’acciaio è una produzione importante e strategica per l’Italia o no? Davvero si vogliono giardini botanici al posto delle acciaierie? Nel periodo dei dazi americani, della penetrazione progressiva dei produttori dell’estremo oriente, e tenuto conto che l’Italia in Europa è seconda solo alla Germania nell’utilizzo di acciai più che altro speciali basta fare due e due quattro e appare ovvio che la produzione dell’acciaio è importante, è in qualche maniera un business conveniente e strategica.
E’ per questo che dall’Umbria si spinge per parlare col ministro dello sviluppo economico sedendosi attorno ad un tavolo tutti insieme: ministero e rappresentanti delle Istituzioni e dei sindacati.
Ma come si leggeva in quel famoso verbale, “il morto interrogato non rispose”. Ora, il ministro è vivo, vegeto e pimpante, e l’augurio è che lo resti per un secolo, ma non ha risposto lo stesso.
Terni, l’Ast è pedina fondamentale nell’asse produttivo del comparto siderurgico che, parlando di società ex pubbliche, si snoda da Piombino a Taranto passando per Terni. Il resto è in mano ai privati, ma ha ad ogni modo un peso secondario in tutto il discorso.
Gli accadimenti che coinvolgono la ThyssenKrupp, “unico proprietario” dell’Acciai Speciali Terni fanno sorgere interrogativi inquietanti per il futuro. Sì, adesso come adesso l’Ast produce utili, ma quando e se la Tk la venderà in che mani andrà? Cosa, come, quanto e con chi produrrà?
La joint venture appena nata tra la Tata e la multinazionale tedesca comporta ovviamente alcune novità, tra le quali più evidenti sono state finora le dimissioni di Heinrich Hiesinger, numero uno della Tk, e di Ulrich Lehner, presidente del Comitato di Sorveglianza che non è qualcosa di simile al collegio dei revisori dei conti come si potrebbe pensare, ma è un organismo che definisce le strategie nomina i manager e ne controlla l’operato.
Mentre le dimissioni di Hiesinger, al limite, potrebbero essere lette come un atto di correttezza nei confronti del nuovo partner che ha diritto di dire la sua nella scelta del vertice dirigenziale, le seconde vanno per forza incasellate come una forma di non condivisione della decisione di chiudere decisamente con la produzione di acciaio. Anche perché l’acciaio è il core business del nuovo partner indiano.
Va ricordato che, a suo tempo, la fusione ThyssenKrupp ha messo insieme due filosofie: quella che guarda soprattutto l’impresa con l’occhio della finanza (la Thyssen) e chi continua a pensare che è l’acciaio il termine distintivo della multinazionale tedesca, nel solco della tradizione dei Krupp, “acciaieri” e padri della siderurgia tedesca. Ecco: Lehner è della “catena” Krupp e la sua decisione di dimettersi può essere letta come lo sfogo finale contro una strategia in fase di attuazione e volta a eliminare la produzione di acciaio, impegnandosi su tre grandi aree produttive: l’energia (la Siemens è azionista di peso in Tk), la ristrutturazione urbana, la movimentazione di persone e cose.
Niente siderurgia. E niente Ast, né Bochum, in Renania. Mentre quest’ultimo stabilimento verrebbe chiuso, Ast sarebbe ceduta insieme a tutto il comparto “materials” di cui fa parte, un comparto il cui valore è fatto ascendere a diciassette miliardi. Difficile trovare un acquirente pronto a prendere tutto in blocco.
Allora? Ovvio, si vende “a pezzi”, Ast per prima. Quali i possibili acquirenti? Le voci dicono forse il Fondo pensione Elliott (quello del Milan, per capirsi), ma i fondi pensione corrono appresso a utili rapidi e questo pare un pericolo; c’è una cordata italiana, “Quattrroerre”, che riunisce investitori “istituzionali” (Cassa depoositi e prestiti ecc.); e mentre sembra più che altro un bluff la voce che vorrebbe una cordata pronta ad agglomerarsi attorno a Lucia Morselli – che all’Ast ricordano bene – si parla di un accordo tra produttori e commercianti di acciaio che troverebbero la loro punta di diamante in Duferco. Quella Duferco cui approdò ad un certo punto della sua carriera Attilio Angelini, presidente dell’Ast nei primi anni di proprietà Tk.
Ma tutto ruota attorno ad un interrogativo, ora: il governo di tutte ‘ste cose che pensa?