Una profonda amicizia ha dato vita al libro “Animalia in familia” che racchiude non solo uno stretto rapporto amicale ed epistolare durato anni tra due persone, ma coinvolge una scuola, la Schola del Maestro Franco Bellardi, che da oltre 25 anni a Rieti promuove la ricerca e la preparazione nel campo della pittura, della ceramica e della calcografia.
“Animalia in familia” raccoglie gli acrostici di Gabriele Ricciardi con tanto di commento dell’autore relativo ai fatti che lo avevano ispirato, tutto tramite email, interpretati dagli artisti de La Schola.
La pubblicazione è stata presentata, su iniziativa dell’Associazione Gutenberg, alla libreria Feltrinelli di Terni alla presenza, tra gli altri, della figlia e della sorella di Gabriele Ricciardi. Gli acrostici sono componimenti poetici nei quali le prime lettere di ogni verso, lette per ordine, formano una parola.
“Ho riprodotto in questo libro, spiega Bellardi, l’intera pagina dell’invio per e-mail: non ho voluto modificare la sua intenzione nell’impaginazione e nel commento. Del resto ogni pagina è piacevolmente significativa per la completa comprensione dei diversi. È un libro di amicizia con un sottofondo di arte, aggiunge Bellardi, perché si basa su degli acrostici che regolarmente mi mandava Gabriele Ricciardi, mio carissimo amico dall’infanzia colpito alle gambe dalla poliomelite, tramite email. Quando lo andavo a trovare gli dicevo sempre ‘ci faremo un libro’. Poi il tempo è passato, lui se ne è andato. Io ho raccolto diversi degli acrostici che mi ha inviato, ho invitato i miei allievi della Schola a realizzare un’opera grafica di carattere calcografico interpretando liberamente quei versi e così abbiamo realizzato questo libro. Non è un libro di lettura, ma da guardare, da ammirare, da leggere prima di addormentarsi, conclude il Maestro, perché ci sono delle cose anche divertenti”.
Nel libro c’è una toccante testimonianza di Lucia Ricciardi, figlia di Gabriele.
“La più grande eredità che mio padre mi ha lasciato, scrive, sono le sue parole. Per anni gli sono state amiche, compagni fedeli e silenziose: sapeva sceglierle con cura, ne conosceva il valore semantico, etimologie, sfumature e accezioni. Io credo che le parole lo abbiano salvato, finché hanno potuto. (…) Aveva scoperto una passione e un’abilità particolare: scrivere acrostici. Nella poesia in versi sciolti o in rima si è cimentato già nella giovinezza, ma sono stati proprio gli acrostici la sua produzione più cospicua: ne avrà scritti centinaia e centinaia, sui più svariati argomenti. (…) La parola, così ingabbiata e costretta entro la forma metrica, si faceva poesia e musica, con intento ora ironico, ora sarcastico, ora riflessione acuta e intelligente, ora invettiva politica. Sapeva camminare, come un funambolo, sul filo e stile di parole “ingabbiate”. Per questo considero i suoi acrostici la forma d’arte che e meglio lo identifica. Lui, costretto ad una mobilità ridotta, aveva trovato una fessura, una scappatoia, nell’arte dello scrivere: pur nella costruzione, conclude Lucia, aveva imparato ad essere libero… come le sue Parole”.