Due ragazzini strappati via dalla vita. Uccisi a Terni da un qualcosa di cui molto probabilmente non avevano valutato la pericolosità: 15 e 16 anni avevano. Dall’altra parte c’è un uomo, accusato di aver fornito loro il mix di stupefacente che si considera abbia provocato la morte. Ha 40 anni, ha vissuto una vita brutta e difficile, alle prese con i tanti, seri, difficili problemi che crea la frequentazione della tossicodipendenza. Al di là di tentare di fare sociologia d’accatto, c’è però da considerare il degrado, la noia, la scarsa informazione, il bombardamento di modelli negativi, e tanto altro. Un insieme che connota un problema da mille sfaccettature e che provoca una miriade di ripercussioni negative sulla vita di tutti i giorni di una comunità.
E’ una tragedia che si è ripetuta, quella avvenuta a Terni questo inizio settimana. Preceduta in un breve periodo da altre morti, registrate magari con una punta di dolore, ma soprattutto di stupore collettivo e rimaste senza seguito. Senza che sollecitassero, cioè, una qualche domanda o considerazione su vite vissute nella solitudine, nella povertà, nel degrado di una periferia.
C’è qualcosa di diverso nella storia dei due ragazzini morti lunedì notte. Amici, liceali, uno abitante in un quartiere popolare, quello di San Giovanni, ridotto ad un fantasma di quel che era nei primi anni dalla costruzione di quella grande massa di case popolari. C’erano negozi, luoghi ed occasioni d’incontro e se non amicizia almeno rispetto e solidarietà. San Giovanni, spaccato in due dalla strada dei quartieri, impoverito nelle occasioni sociali dalla sparizione dei luoghi di ritrovo “principe” quali erano quei negozietti spazzati via dai centri commerciali, ben presto assediato dai problemi della tossicodipendenza che ingoiò molti giovani i quali oggi hanno quarant’anni. Quell’uomo ora in cella in stato di fermo è nato e cresciuto lì, a San Giovanni. Come uno dei due ragazzini che vantava però un curriculum – seppur breve – molto diverso: bravo ragazzo, studioso, frequentatore della parrocchia, felice per essere stato accolto come operatore nel mondo del volontariato. Diversa è anche la storia del suo amico. Non è una storia di povertà, di abbandono, di degrado morale o sociale la sua: figlio di professionisti, amante dello sport, abitante in uno dei villini di Colle dell’oro-Villa Palma, quartiere non “nobile”, ma certo non “popolare”.
Il problema c’è, ma a Terni – e non solo – ha facce diverse dal passato. Le risposte che urgono sono complesse, difficili da trovare. Ma la risposta non può essere solo quella del dolore, dello sgomento o del lutto cittadino. Dalle Istituzioni ci si aspetta e si pretende di più. Ci si aspetta e si pretende, cioè, che si intervenga decisamente, che ci si interroghi per trovare tutti insieme una risposta. Non una soluzione definitiva perché il raziocinio dice che probabilmente non si potrà mai trovare. Ma una serie di azioni e provvedimenti che contengano il problema, che impediscano che si ampli, che ne favoriscano la decrescita. Per prima cosa considerando l’esistenza di un malessere strisciante che va considerato e affrontato, conosciuto, spazzato via.
Non è scatenando la caccia al pusher che ciò potrà avvenire. Certo, c’è anche quella di azione da compiere e con decisione. La si è invocata facendone un cavallo di battaglia in campagna elettorale: vigilanza continua, stringente. Ma che non diventi un alibi per mettersi la coscienza in pace. Anche perché i frutti sono quelli che tutti abbiamo davanti. Poco e niente. Per un chilo di droga sequestrata ne girano altre decine di chili; per uno spacciatore preso – di solito piccoli pesci – molti altri continuano a nuotare. E’ la quantità d’acqua a loro disposizione che andrebbe ridotta. Mai dimenticando che chiunque cade nel vortice diventa un pusher, magari occasionale, perché quello è l’unico modo – per molti – di procurarsi quella sostanza che per loro è diventata, paradossalmente, vitale. Un pusher che – per fare un paragone d’attualità – diventa un diffusore del virus.
Ecco. Che questa assurda tragedia serva almeno a svegliare una città intera. Una città che sia pronta a confrontarsi, a chiamare a raccolta, ad affrontare un dibattito sereno, sgombro dalle ideologie, dalle posizioni preconfezionate che potrebbero diventare steccati insormontabili. Mentre i problemi continuerebbero ad esistere e, peggio, ad aggravarsi.