Ha atteso di smettere di giocare al calcio per dire quello che pensa su un tema tabù nel mondo dello sport come l’omosessualità.
Claudio Marchisio, ex campione della nazionale e della Juventus, ne scrive in un capitolo del suo libro “Il mio terzo tempo-Nel calcio e nella vita valgono le stesse regole”. Probabilmente resterà una cosa scritta da Marchisio e basta però può dirsi che il sasso lanciato nello stagno generi qualche reazione, magari positiva che seppellisca definitivamente opinioni terrificanti come quelle espresse da Antonio Cassano qualche anno fa: “Ci sono froci in nazionale? Se dico quello che penso sai che cosa viene fuori… Sono froci, problemi loro, speriamo che non ci siano veramente in nazionale. Me la cavo così, sennò sai gli attacchi da tutte le parti”.
DI CLAUDIO MARCHISIO
“Nella mia storia sportiva posso dire di non avere quasi nessun rimpianto, difendo le scelte che ho fatto nella mia carriera e ritengo che quasi tutte siano state azzeccate, almeno dal mio punto di vista e per la mia scala di valori. Se di qualcosa mi posso rammaricare, casomai, è proprio il fatto di non essere arrivato prima a comprendere quante situazioni ho dato per scontate senza considerare che potessero in qualche modo fare male a qualcuno. Il tema dell’orientamento sessuale e quello della marginalizzazione dell’omosessualità sono certamente due di queste questioni, e me ne rendo conto appieno solo adesso che ho smesso di giocare.
Non so se ho mai avuto dei compagni di squadra omosessuali. Se ci sono stati, non si sono mai sentiti liberi di dirlo pubblicamente, né a me (cosa che conta poco) né al mondo. Ho però ben presente la disinvoltura con cui, specialmente da ragazzini, si usavano parole come frocio o finocchio per riderne, per sfotterci a vicenda, per scherzare. Forse non pensavamo al significato di quello che dicevamo, o forse ci rassicurava il fatto di poterci sentire parte di un gruppo di uguali, ci aiutava usare categorie maschiliste perché ci metteva al riparo dalle nostre fragilità che, qualunque origine avessero, restavano per l’appunto nascoste dietro questo teatrino.
“Ora so che qualcuno di quei compagni può aver sofferto, può essersi sentito sbagliato, magari ha interrotto il suo percorso sportivo proprio per smettere di sentirsi isolato e sotto assedio. Per chiunque, l’adolescenza è un periodo turbolento e agitato, si scopre poco a poco chi si è e chi si vorrebbe essere. In molti casi la confusione regna sovrana, ci si sente come una banderuola nel vento di una società che è sempre piena di pretese e di paletti, di aspettative e di modelli impossibili. Si fa una fatica estrema a cercare di mantenere l’equilibrio tra i propri sbalzi di umore, il proprio corpo che cambia, i desideri che nascono, crescono e si modificano. È complicatissimo, per tutti. E allora immagino l’improbo sforzo di un adolescente che inizi ad acquisire consapevolezza del proprio orientamento sessuale, che ci faccia i conti poco a poco, che cerchi degli appigli intorno a sé per avere la sicurezza di non essere solo, di non essere l’unico ma di potersi rispecchiare in tante altre storie simili. E invece trova un branco di ragazzini sboccati e grezzi che, ancora una volta senza intenzione, rendono questo processo più titanico di quanto non sia. Se poi prova a rivolgersi timidamente al mondo adulto, allora lì la negazione è pressoché completa”.
“Non esiste il tema, non se ne parla, non lo si considera, non lo si cita per paura di toccare un nervo scoperto che non si sa gestire. Non mi sarei mai sognato di condividere con il mio allenatore delle giovanili i miei dubbi adolescenziali, così come non lo avrei fatto con i miei maestri e professori di scuola, con gli animatori del centro estivo che frequentavo o con il prete della parrocchia dietro casa. E la distanza era ricambiata, perché nessuna di queste figure adulte ha mai provato ad aprire quella porta, a mostrare che ci si poteva confrontare liberamente e che nessuno era sbagliato. Ciascuno sperava che a parlare delle questioni “imbarazzanti” fosse qualcun altro, problema risolto. Gli unici che forse ogni tanto ci provano (ancorché spesso un po’ goffamente, e parlo per esperienza personal) erano quelli che nessun adolescente vorrebbe interpellare per le questioni più spinose. Abbiamo estremo bisogno di una rivoluzione dei costumi. Bisogna che l’inconsapevolezza di fondo sparisca, è necessario che il linguaggio comune si liberi una volta per tutte da qualunque ammiccamento machista, da ogni ironia sottintesa quando si parla di orientamenti sessuali. Sono convinto che debba arrivare il giorno in cui i discorsi sulla sessualità, qualunque orientamento questa abbia, perderanno l’aura di malizia che ancora oggi li ammanta”.