“La vicenda ben triste che ha trasformato da oltre dieci anni una delle piazze pulsanti di vita della città in un ammasso di sporcizia, di auto accatastate ovunque, con la struttura del vecchio mercato coperto che incombe sinistra in tutta la sua pesantezza, lercia di giorno, spettrale di notte, rende bene l’idea di come la storia di Terni sia stata purtroppo caratterizzata da scelte sbagliate, ma anche da non scelte, senza il coraggio e la visione che non può non caratterizzare, a mio modestissimo parere, la politica e la migliore amministrazione della cosa pubblica”.
Così l’assessore regionale Enrico Melasecche in merito allo stato in cui versa piazza del Mercato e il contenzioso con Superconti.
“Erano gli anni in cui il sindaco Raffaelli e qualche suo “urbanista”, tradendo peraltro la vocazione popolare della propria parte politica, decise di fare cassa vendendo il “mercato coperto”, ricorda l’assessore, luogo dedicato storicamente all’incontro della domanda e della offerta di prodotti alimentari freschi, in parte a km zero, prodotti da piccoli agricoltori locali. Fu predisposto un bando, venne presentato un progetto interessante, ma faraonico aggiudicato alla Superconti Spa. In alternativa, violando le previsioni urbanistiche precedenti, fu realizzato nel Quartiere Clai, l’attuale mercatino di Largo Manni, sfortunato sotto ogni punto di vista. Sono seguiti oltre due lustri di corsi e ricorsi giudiziari mentre quella piazza è diventata l’emblema, a due passi da Corso Tacito, di come l’ignavia e la paura di prendere decisioni siano le peggiore consigliere di chi è chiamato a governare una città. Dopo Raffaelli, nove anni di sindacatura Di Girolamo hanno reso lo stato dei luoghi inaccettabile per chiunque abbia il senso della decenza ma a maggior ragione per chi, come il sottoscritto, ama Terni non con parole di circostanza, ma con la passione che ti porta a mettere la faccia e combattere battaglie vere in alternativa al fatalismo arrendevole che ha caratterizzato purtroppo molte fasi della storia cittadina. E’ per questo che ho per oltre un anno, con i vari dirigenti che si sono succeduti, alcuni anche di grande valore, animato un gruppo di lavoro di cui ha fatto sempre parte l’amico Latini, sindaco da quasi tre anni e per di più avvocato, per portare a soluzione un altro problema fra i più spinosi. Al di là delle soluzioni di fantasia di ex assessori, sbizzarriti nel proporre di tutto, ho mantenuto sempre i piedi bene a terra aprendo un confronto serrato con la società che, condannata in primo grado a realizzare un progetto impossibile, ha intentato un ricorso pendente davanti al Consiglio di Stato, dichiarando comunque, anche in caso di soccombenza, di voler ricorrere in Cassazione nella impossibilità tecnico economica di sventrare quella piazza stretta fra palazzi alti otto o nove piani. I numeri spaventano. Demolire quell’ammasso di cemento armato di 25.000 metri cubi con uno zoccolo di fondazione imponente, consolidare tutti i palazzi intorno con 500 pali della profondità di 15/20 metri, scendendo di tre piani sotto il livello della piazza, creando un vuoto da bomba atomica da 60.000 mc, significa fare circa circa 5000 viaggi con camion che portano 15 mc di materiale, entrando da Piazza Corona ed uscendo da via delle Portelle, con centinaia e centinaia di betoniere ed autotreni per trasportare calcestruzzo e travi di dimensioni notevoli, attivando demolitori e ruspe in un inferno dantesco in cui le vibrazioni, i rumori assordanti e le polveri lasciano facilmente presagire denunce, liti continue ed un cantiere infinito. Le normative antisismiche subentrate dopo il terremoto del 2016 non facilitano interventi di questo tipo. Gli ultimi eroici commercianti che hanno fin qui resistito sarebbero costretti a chiudere definitivamente mentre i residenti che non hanno ancora svenduto casa sarebbero costretti ad anni di sacrifici inenarrabili. Da considerare che, oltre al terreno da asportare ci sarebbero anche oltre 10.000 mc di rifiuti speciali da portare in discarica. Il Comune peraltro dovrebbe farsi carico del costo rilevante della rimozione e sistemazione dei sottoservizi a cominciare dal sistema fognario, elettrico, idrico, con centinaia di famiglie e commercianti inferociti dalle necessarie sospensioni dei servizi e dai prevedibili sacrifici, costretti a passare lungo i camminamenti stretti addosso ai palazzi. Il tutto, prosegue Melasecche, per realizzare tre piani interrati di garage quando Terni è una delle città in Italia che ha il maggior numero di posti auto interrati a ridosso immediato del centro storico rispetto al numero degli abitanti. Si impone quindi una “rivisitazione” del progetto originario per contenere i costi dell’investimento e conseguentemente eliminare le opere di scavo con un impatto di cantiere e tempi neanche minimamente paragonabili. Le più moderne tecniche ed esperienze internazionali consigliano soluzioni analoghe a quella ipotizzata nella ipotesi di transazione raggiunta un anno e mezzo fa, con vantaggi indiscutibili per la città, ma anche per la società Superconti che trasferirebbe il punto vendita di Corso Tacito ormai tradizionale riferimento di quasi tutto il centro cittadino.
Il progetto, come filtra dalle prime indiscrezioni, apporterebbe una elevata luminosità, una immagine di assoluta modernità, con una parete ricca di vegetazione che darebbe a quella piazza un respiro quanto mai necessario. Grandi vetrate, elementi architettonici colorati, una piazza riqualificata completamente con una vita anche serale fra ristorantini che attirerebbero clienti da fuori. E’ per questo che, ad un passo dalla conclusione di un accordo, in linea di massima già delineato, ritengo doveroso di non poter più tacere rispetto alla prospettiva di altri anni di patimenti e di degrado, su una vertenza giudiziaria che non vedrà comunque vincitori. Continuare in questo modo significa fare una cattiveria alla città che nessuno può permettersi. Viceversa, rivedere quella piazza tornare a pulsare, con migliaia di cittadini che torneranno a rianimarla di giorno e di sera, costituisce una prospettiva troppo interessante per essere trascurata. Occorre solo ormai quel tocco di sana volontà per superare resistenze burocratiche e dubbi amletici che non possono sussistere di fronte all’interesse pubblico evidente ed ampiamente prevalente. Mancano due anni al termine della consiliatura e non possiamo non aggiungere anche questo decisivo risultato, conclude Melasecche, fra i non pochi già prodotti ed avviati a soluzione un anno fa”.