Durissimo attacco dell’assessore alla cultura del Comune di Terni, Giorgio Armillei, nei confronti del sindacato. La polemica la innesca attraverso un post pubblicato sul suo profilo Facebook. Un post cui si fa riferimento a un incontro istituzionale fra lo stesso assessore Armillei e l’assessore al bilancio, Piacenti D’Ubaldi, incontro che Armillei definisce “stanca liturgia concertativa di fine secolo” e “vecchia formula”. Il sindacato è definito in “crisi di rappresentanza”, “una lobby” e in “conflitto di interessi”. Secondo l’assessore necessiterebbe di “un tagliando e di un rinnovo” , forse , anche di essere rottamato.
Ecco il pensiero integrale di Giorgio Armillei
Ieri, 9 marzo: un pomeriggio piovoso, frizzante ma piovoso. A Palazzo Spada va in scena l’incontro tra la Giunta (io e l’assessore al bilancio) e il sindacato sul documento unico di programmazione (DUP), in cui si stabilisce la fattibilità degli interventi economici e finanziari. Si definisce una visione della città e si incastonano in questa visione obiettivi operativi e programmi. Un incontro che rischia di scivolare in una sorta di stanca liturgia concertativa di fine secolo. Non certo per responsabilità di qualcuno, assessori, staff della delegazione trattante di parte pubblica, sindacalisti. No, non è questione di intenzioni soggettive un po’ vecchie, è questione di vecchie formule istituzionali. L’incontro tra esecutivo e sindacati sui documenti di programmazione è una tra queste. C’è un altro mondo là fuori, il sindacato è in crisi di rappresentanza, una foglia che cade nell’autunno della rappresentanza (come dicono gli studiosi). Una rappresentanza ancora pensata per linee verticali, rigide, ramificate, quando la realtà è orizzontale, flessibile, puntiforme. La buona volontà ce la mettiamo tutti, il confronto è anche utile, ma lo schema non funziona più. Chi e cosa rappresenta il sindacato? I suoi iscritti? I lavoratori dipendenti? Pretende di rappresentare gli utenti dei servizi comunali? Ma quelli che pagano per i servizi di tutti chi li rappresenta? E poi c’è anche un bel conflitto di interessi sotto: utenti e dipendenti stanno spesso su sponde opposte. O si tutelano i primi o si tutelano i secondi. Il sindacato è ormai una lobby, a maggior ragione il sindacato del pubblico impiego: ma lobby non è una brutta parola, è un termine tecnico. Una lobby come tante altre nella città (e nella società) poliarchica. Visto che è una lobby non ha però alcuna primazia, non può parlare in nome di interessi generali. Non esistono più gli interessi generali di cui parla il sindacato, sono solo un’ideologia molto consumata. Esistono solo procedure e istituzioni per la regolazione del conflitto tra gli interessi. Esiste poi la collaborazione, vera risorsa di innovazione, tra le sfere sociali della città, organizzazioni, associazioni, amministrazioni pubbliche, imprese, comunità religiose, singole persone. Chiunque può avanzare la pretesa di curare interessi collettivi, di curare il bene comune. Un’impresa che sta sul mercato, soddisfa una domanda di beni o servizi e crea lavoro sta curando il bene comune. Deve però dimostrarlo ex post non ha una patente riconosciuta ex ante. Meno che mai questa patente è sempre valida per un sindacato. Tagliando e rinnovo sono obbligatori. Forse è venuto il momento della rottamazione. Forse no. La riunione si chiude, anzi continua su problemi di contratto collettivo: il mestiere del sindacato, se riesce ancora a farlo.