“Senza industria questo Paese non c’è”. Lo ha detto il ministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda che, ieri, ha partecipato a un convegno della FIOM-CGIL sul futuro dell’acciaio in Italia.
“L’industria ha generato prosperità perché ll nostro paese è un paese industriale, l’idea che tutto questo possa cessare sarebbe una disgrazia sociale di proporzioni gigantesche. Eppure, negli ultimi 25 anni , di industria si è parlato pochissimo e di provvedimenti di supporto all’industria non me ne ricordo uno tolti provvedimenti di natura generale, tipo le liberalizzazioni di Bersani o un piccolo taglio del cuneo fiscale fatto da Prodi recuperato peraltro sul TFR. Verità è che l’industria che ha tenuto in piedi il paese è scomparsa dall’agenda politica. Nostro obbiettivo è continuare a farcela rientrare, continuare a mettere al centro il tema di come si produce, dei costi di produzione, del valore aggiunto della produzione e dell’innovazione tecnologica”. Riferendosi poi specificatamente al settore dell’acciaio il ministro ha detto: “Bisogna stare molto attenti a evitare la fuga dalla realtà e dalla responsabilità”. Ha citato il caso emblematico di Taranto, dove le contraddizioni fra il lavoro e la tutela ambientale e della salute sono esplose in modo clamoroso:”esiste altro paese al mondo – si è chiesto il ministro – in cui le autorità locali cercano di spegnere un impianto (ILVA, n.d.r.) che da lavoro a Taranto con l’indotto diretto a circa 15 mila persone senza avere un’alternativa plausibile? Io non credo”. Ha poi rivendicato al governo italiano la battaglia, in sede di commissione europea, per evitare il riconoscimento di economia di mercato alla Cina. “Sarebbe stato devastante. Oggi, i dazi, per quanto insufficienti , ci sono”.
“L’acciaio è un settore – ha aggiunto Calenda – che era stato dato prematuramente per morto in Europa secondo una teoria per la quale l’industria doveva scomparire dai paesi occidentali per rimanere nei paesi orientali e , di conseguenza, tutti saremmo diventati disegnatori di siti internet. Questa gigantesca fesseria di cui oggi noi siamo in grado di ridere, in realtà, ha profondamente influenzato la politica europea tanto che la parola politica industriale è totalmente scomparsa dall’agenda europea, tanto che , per moltissimi anni, i dazi sono stati tenuti a un livello che non erano nemmeno di natura protezionistica, a un livello talmente basso che non riuscivano a ridurre il chiarissimo elemento di dumping che sull’acciaio è stato più evidente ma che non è stato meno invasivo in altri settori.”
Al convegno dellaFiom-Cgil, fra gli altri era presente la presidente della giunta regionale dell’Umbria, Catiuscia Marini: “Terni è un impianto straordinariamente importante per il sistema industriale italiano e di una parte fondamentale anche della manifattura italiana e non solo italiana”. Rispetto all’accordo firmato nel dicembre del 2014, la Marini ha sostenuto che ” quell’accordo metteva in campo più impegni negli investimenti da parte della multinazionale” e questo dovrebbe essere oggetto di discussione nel tavolo richiesto al governo. La Marini si è poi chiesta perché AST è stata tenuta fuori dalla’accordo ThssyeKrupp-Tata Steel e cosa significa questa scelta per la siderurgia europea. Ha parlato di comportamento “folle” della commissione europea riferendosi alla gestione della vicenda della vendita di AST a Outokumpu: “si è trattato dell’esempio di scuola di quando l’Europa non sa veramente cosa fare dei suoi interessi strategici”. Sottolineando come al prossimo tavolo si dovrà anche affrontare il tema , di nuovo, della vendita di AST, la Marini, rivolgendosi al ministro Calenda, ha detto che “non si deve parlare con chi dirige e amministra l’azienda a Terni (cioè l’AD Massimiliano Burelli. n.d.r.) ma con il proprietario che ne porta la responsabilità anche per quel che riguarda la prospettiva futura”. Uno dei temi disattesi dell’accordo del 2014 riguarda “la gestione delle scorie, di un ciclo integrato di recupero di economia circolare che su Terni è possibile e praticabile, che deve dare corso alle offerte che attraverso le gare sono state effettuate.”
“Non si capiscono i ritardi – ha detto la Marini – di Thyssenkrupp nell’attuazione di queste soluzioni tecnologiche che permetterebbero di chiudere la discarica e che permetterebbero, se attuate, di arrivare, se non al 100%, ad un grado elevatissimo, oltre il 70%, di riduzione delle scorie che vanno in discarica”. Dopo si dovrà affrontare anche il tema della bonifica della discarica.
“Credo che Terni potrebbe dimostrare in maniera molto concreta che in Europa è possibile rendere praticabile il mantenimento di una siderurgia moderna, di una produzione industriale di base, con la sostenibilità ambientale. Terni può rappresentare un luogo dove questo si realizza nel nostro paese, anche con tempi relativamente brevi – ha concluso la Marini”.