Caos, tensione e violenze nell’Umbria penitenziaria anche nei giorni di San Silvestro e Capodanno, a confermare la situazione ad alta tensione che il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria denuncia ormai da moltissimo.
Fabrizio Bonino, segretario per l’Umbria del SAPPE, da notizia che “a Spoleto un detenuto marocchino lavorante ha fatto esplodere una bomboletta messa sopra un fornellino all’ingresso della Sezione Transito: poi ha dato fuoco agli indumenti rendendo inagibili due celle. Due poliziotti sono rimasti intossicati e sono stati dimessi stamattina mentre è da rilevare l’intervento dei vigili del fuoco ieri sera intorno alle 21.30 oltre a tre ambulanze in via precauzionale”.
Poi, altro evento critico a Terni: “tre detenuti marocchini della Sezione G, prosegue il sindacalista, hanno devastato la Sezione, rompendo anche le telecamere, preso a calci e pugni il poliziotto di servizio e cercato di entrare in infermeria. Non riuscendoci uno di loro è sceso in sorveglianza generale e bloccato ha devastato il piano terra e minacciato un collega mettendogli un pezzo di vetro sotto al collo”.
Bonino si dice “sconfortato dai numerosi appelli del SAPPE rimasti lettera morta a fronte di una situazione penitenziaria regionale grave, pericolosa ed allarmante”.
Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria commentando il discorso di fine anno del Capo dello Stato, dichiara: “Esprimiamo, ancora una volta, la nostra gratitudine al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha voluto volgere lo sguardo alla realtà penitenziaria delle nostre carceri in occasione del suo apprezzato discorso di fine anno. È vero: sono inaccettabili anche le condizioni di lavoro del personale di Polizia penitenziaria, impegnato “H24” nelle sezioni detentive e i cui appartenenti sono sempre più vittime di aggressioni e atti violenti dalla parte minoritaria della popolazione detenuta più refrattaria a rispettare l’ordine e la sicurezza anche durante la carcerazione. Ma nei nostri istituti di pena si può e si deve “potere respirare un’aria diversa da quella che li ha condotti alla illegalità e al crimine”. Noi siamo pronti a dare il nostro contributo”.
La proposta operativa del SAPPE è “prevedere un sistema penitenziario basato su tre “gradini”: il primo, per i reati meno gravi con una condanna non superiore ai 3 anni, caratterizzato da pene alternative al carcere, quale l’istituto della “messa alla prova”; il secondo riguarda le pene superiori ai 3 anni, che inevitabilmente dovranno essere espiate in carcere, ma in istituti molto meno affollati per lo sgravio conseguente all’operatività del primo livello e per una notevole riduzione dell’utilizzo della custodia cautelare; il terzo livello, infine, è quello della massima sicurezza, in cui il contenimento in carcere è l’obiettivo prioritario”.
Quello del sovraffollamento, secondo il SAPPE, “è certamente un problema storico e comune a molti Paesi europei, che hanno risolto il problema in maniera diversa – sottolinea Capece – l’osservazione della tipologia dei detenuti e dei reati consente di affermare che il sistema della repressione penale colpisce prevalentemente la criminalità organizzata e le fasce deboli della popolazione In effetti, il carcere è lo strumento che si usa per affrontare problemi che la società non è in grado di risolvere altrimenti”.
Per il SAPPE, “il carcere così come è strutturato oggi in Italia va cambiato. Crediamo sia davvero giunta l’ora di ripensare l’esecuzione penale mettendo da un lato i fatti ritenuti di un disvalore sociale di tale gravità da imporre una reazione dello Stato con la misura estrema che è il carcere: e dall’altro, anche mantenendo la rilevanza penale, indicare le condotte per le quali non è necessario il carcere”.
E Capece conclude evidenziando che “i peculiari compiti istituzionali del Corpo di Polizia Penitenziaria sono richiamati nel motto del nostro Stemma araldico: “Despondere spem munus nostrum“ (garantire la speranza è il nostro compito), iscritto nella lista d’oro alla base dello stemma. Proprio garantire la speranza è un nostro dovere istituzionale, che le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria svolgono quotidianamente il servizio, nelle carceri per adulti e minori della Nazione, con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità in un contesto assai complicato”.