Sarà pure come dicono quelli del Movimento 5 Stelle, ossia che – Perugia a parte – c’è poco da festeggiare- Ma nel giorno del cinquantenario dell’insediamento del primo consiglio regionale umbro qualcosa da celebrare c’è. C’è ad esempio da ricordare quante e quali battaglie proprio in Umbria si combatterono per sostenere l’istituzione della Regione che, almeno allora, era sognata come occasione di autonomia, di possibilità di crescere per una regione come l’Umbria che era in forte debolezza rispetto ad altri territori italiani; che aveva molto da rivendicare e – soprattutto – da proporre al governo centrale riguardo al suo sviluppo e progresso. Non a caso nella seconda metà degli anni Sessanta c’era stato molto movimento tra i partiti: tutti. Gli uomini i quei partiti si erano dati una regola che era di confrontarsi, elaborare insieme un piano che, individuate le priorità tra le tante esigenze umbre, avanzasse proposte e progetti da consegnare al governo di Roma, sollecitato a prendere atto dell’esistenza di un “Problema Umbria”. Era in una qualche maniera una anticipazione del regionalismo.
Quel piano fu preparato con una serie di analisi approfondite, fu elaborato,discusso e quindi consegnato a ministri e parlamentari, fu sostenuto dai parlamentari umbri che ne vollero il dibattito in aula, a Montecitorio. Poi, come – purtroppo – spesso accade, quel piano finì in un cassetto, come scrisse con una certa amarezza ma anche con un certo orgoglio anni dopo Filippo Micheli, “storico” deputato ternano della Dc. Anche perché ormai l’istituzione delle Regioni come enti “autarchici”, si diceva allora, era stata decisa e programmata.
Quei consiglieri che furono eletti nel 1970 erano tutti uomini di punta delle amministrazioni delle città del’Umbria. Gente di esperienza. Si riunirono per la prima volta alla Sala dei Notari, a Perugia, lì dove il Cinquantenario è stato celebrato. Una sede per il Consiglio regionale non c’era ancora, tanto è vero che per alcuni anni l’assemblea si riunì nella sede del consiglio provinciale di Perugia. Quella sala era nata come sala dell’assemblea dei rappresentanti dei territori di una provincia-regione. Negli anni Settanta del secolo scorso anche all’occhio rappresentava seppure impropriamente l’ interezza dell’Umbria, con tutti quegli stemmi delle città del perugino e del ternano (ma anche di Rieti) affrescati sulla cornice delle pareti,.
Riunioni infuocate, vi si tennero. Furono battaglie aspre, tra i partiti, tra maggioranza e opposizione, senza eccessi però, per rispetto se non altro dell’Istituzione.
Le decisioni anche per ciò che riguardava le cariche più in vista (Presidente della Giunta e del Consiglio, assessori) si presero tenendo conto del consenso ai vari partiti, ma tenendo conto delle esigenze dei vari territori, di cui andava rispettata la dignità.
Poi le cose sono cambiate, tanto che oggi, cinquant’anni dopo, non si può dar completamente torto ai Cinquestelle se affermano che a parte Perugia, “Per il resto della regione a quanto pare c’è poco o nulla da festeggiare, visti i risultati in cui si sono tradotti 50 anni di politiche che hanno visto sprofondare interi territori nel baratro sociale, sanitario, economico e culturale”. Loro, i Cinquestelle, dicono anche che quella del regionalismo è “una promessa mancata”, ma forse il giudizio, così lapidario, è dettato dalla propaganda e “segnato” dagli accadimenti degli ultimi anni. Sicuramente quello spirito iniziale, di competizione politica – certo – ma anche di costruzione favorito dall’ampio spettro di materie e di problemi che fino ad allora non erano mai stati affrontati, non c’è più. Sarebbe da illusi sperare che vi si torni, nell’ambito di un ritorno ad una visione generale della società umbra, delle questioni che la riguardano come comunità regionale, della utilità di una coesione e di una solidarietà tra territori, nella concezione che una Istituzione è dei cittadini e non di chi è da questi delegato a rappresentarli.
Il problema c’è, ed è di attualità scottante. Ma il modo di affrontarlo non può essere quello dell’Aventino, semmai. Perché su una questione i Cinquestelle (c’è un documento dei gruppi consiliari di Terni, Narni e Amelia) toccano un nervo scoperto. Stigmatizzano che da questi centri umbri, seppure siano del sud, non si sia nemmeno assicurata una presenza, magari di facciata ma che sarebbe stata utile proprio a ricordare che la Regione Umbria non è tornata ad essere la Provincia di Perugia. Quella fu istituita dal Regno Sabaudo appena diventato Regno d’Italia: sarebbe triste dover constatare che quasi due secoli di storia e di vita siano passati inutilmente.