Il dipartimento scienze dell’antichità dalla Sapienza Università di Roma da ormai otto anni sta portando avanti delle interessanti campagne di scavo nei territori di Rieti e Marmore-Piediluco per cercare di capire qual è stato il più antico popolamento della zona intercettata dal basso Velino.
Un argomento estremamente interessante che è stato oggetto di una conferenza tenuta dall’archeologo Carlo Virili, su iniziativa del Gruppo Archeologico D.L.F. di Terni, dal titolo “L’archeologia di Varrone tra Aborigeni e Sabini. Le ricerche tra Terni e Rieti dell’Università di Roma La Sapienza”.
Nel sito di Paduli, che si trova nel Comune di Colli sul Velino, è stato trovato un ampio sistema di insediamenti, circa 40, che occuparono nell’età del bronzo, nel II millennio a. C., la Piana di Rieti ed il bacino di Piediluco. Si tratta del sito più importante per durata, dimensione, organizzazione dell’insediamento, quantità e varietà di reperti. Tra le scoperte più importanti ci sono dei piani di calpestio strutturati sotto prestamenti di legno.
“Si tratta di una sorta di palafitte sull’asciutto, spiega l’archeologo Carlo Virili, costruite nell’area retrostante il lago. Le strategie insediative dell’epoca erano quelle di isolare il più possibile le persone dall’umido attraverso tutta una serie di strutture lignee che costituivano delle intercapedini”.
Ma la cosa più sorprendente è il rinvenimento di numerosissimi manufatti di bronzo.
“È una rarità, sostiene Virili, una cosa tipica della zona che io ho definito un’acciaieria ante litteram”.
Forse questa intensa produzione metallurgica è dovuta all’elevata salinità delle acque del Velino, che facilita le operazioni di tempra del metallo.
“Ma sono stati trovati anche manufatti che noi chiamiamo esotici – aggiunge Virili – come le perle d’ambra che venivano dal Baltico, il vetro che veniva dall’area settentrionale dell’Italia, l’avorio che veniva dall’area egea. Tutti elementi che sono indicatori di centri ricchi e potenti”.
Tutto andò avanti per circa mille anni, poi si dissolse con lo spopolamento definitivo del territorio nella fase avanzata della prima età del Ferro. E ciò, probabilmente, fu dovuto al progressivo innalzamento del lago.
“C’è un decalage progressivo fino alla scomparsa intorno al 750 a. C. che è poi la data della fondazione di Roma. Quindi, sostiene l’archeologo Virili, mentre nell’Etruria meridionale venivano fuori le grandi città etrusche e latine, qui, questo grande popolamento svanisce. L’ipotesi è che ci sia stato un innalzamento delle acque dei laghi, un cambiamento ambientale a cui queste genti per certi versi non sono state capaci di rispondere. Ma non perché è venuta meno la loro capacità tecnologica di costruire sull’acqua, il punto è che veniva meno il potenziale economico che avevano, cioè l’agricoltura. Ed è suggestivo pensare che proprio nel momento in cui c’è una rarefazione, una contrazione demografica, il crepuscolo di questi abitati, c’è l’alba di Terni. Per certi versi, conclude Virili, gli archeologi registrano lo sviluppo della città di Terni e della necropoli delle acciaierie quando, mettiamola in maniera molto suggestiva, gli avi della zona della conca velina e del bacino di Piediluco progressivamente scompaiono”.