In carcere deve essere fornita, ai detenuti, una dieta varia ed equilibrata che, assicurando la tutela del diritto alla salute, tenga presente di eventuali allergie alimentari dei reclusi.In tal caso gli alimenti sulla lista nera devono essere sostituiti con altri ben tollerati e dello stesso genere.
Lo ha stabilito la Corte di cassazione accogliendo il ricorso presentato da un detenuto di 46 anni, originario di Torre Annunziata, recluso nel carcere di Terni, afflitto da una intolleranza alimentare per il pesce azzurro.
La direzione del carcere ternano, pertanto, aveva del tutto eliminato il pesce dal cibo da somministrare al detenuto anche se la direzione sanitaria aveva individuato del pesce alternativo.
Il magistrato di sorveglianza aveva dato ragione al detenuto mentre il Tribunale di sorveglianza di Perugia aveva ribaltato la decisione sostenendo la “piena fungibilità della carne con il pesce, ai fini nutrizionali”.
Insomma carne al posto del pesce.
Il procedimento è arrivato fino alla Corte di Cassazione che ha nuovamente ribaltato la decisione del tribunale di sorveglianza decidendo che “deve essere assicurata una alimentazione sana e sufficiente, adeguata, tra l’altro, allo stato di salute”.
Non solo, la Cassazione ha anche bacchettato il tribunale di Perugia che “non può sostituirsi agli organi tecnici ed amministrativi a ciò deputati espressamente e stabilire lui stesso ciò che rientri o non rientri nella nozione
di alimentazione sana ed equilibrata”.
C’e ne è anche per l’amministrazione del carcere di Terni in quanto non si comprende – afferma Corte di Cassazione – per quali contingenti ragioni di ordine organizzativo, finanziario o di altra natura, non si adegua a una tabella vittuaria che include una o più porzioni di pesce a settimana” visti i prezzi assolutamente economici di certi pesci comuni.
A fronte di tutto ciò va detto, altresì, che in più circostanze ci sono state lamentele, non solo da parte dei detenuti, sulla qualità del cibo servito.E non sulla varietà.