Dopo Federico Brizi c’è un altro consigliere comunale che abbandona Forza Italia e passa al Gruppo misto. E’ Valeria D’Acunzo che non ha fatto nemmeno in tempo a scaldare la sedia che già s’è messa in movimento. E così il Gruppo Misto adesso ha due consiglieri, quasi quanti ne ha il Pd che, a Palazzo Spada, può vantare “ben” tre rappresentanti.
Ma se fin troppo chiara era apparsa la motivazione che ha spinto Brizi a fare il passo, non si capisce davvero niente sul perché la D’Acunzo ha deciso di seguirlo. Lei l’ha spiegata così: “La mia uscita è una scelta personale – ha dichiarato – avendo ricevuto nella giornata di martedì 2 ottobre, un ricorso al Tar da parte del dottor Federighi, rispetto alla sua decadenza da consigliere comunale.
Affinchè io possa tutelare nelle sedi opportune la mia persona e il ruolo affidatomi dai cittadini quantomeno fino al giorno del pronunciamento della sentenza definitiva, non intendo partecipare al gruppo del partito nel quale sono state eletta. Dalla data odierna aderirò al gruppo misto”.
Sarà perché è medico tricologo, ma alla base della decisione c’è un ragionamento che pare proprio “ad capocchiam”. Vale a dire che siccome lei è subentrata ad un consigliere dichiarato decaduto e dato che questi ha presentato ricorso, allora lei deve difendere il mandato che le è stata assegnato dai 198 ternani che a giugno l’hanno votata. Detto per inciso Valeria D’Acunzo fu terza dei non eletti nella lista di Forza Italia. Solo che il Tar non dovrà mica pronunciarsi su di lei, ma sulla decadenza di Federighi. Se questa fosse confermata la D’Acunzo rimarrebbe in consiglio (e allora che fa, torna in Forza Italia?); in caso di annullamento, invece, lei se ne tornerebbe a casa. Punto e basta. Sarebbe la città, comunque a perderci: dove lo trovi infatti un altro così esperto nell’interpretare norme e regolamenti?
Situazione insomma, un po’ ingarbugliata nel centrodestra di governo della città a seguto di certe “transumanze”. Per fortuna che nel centrosinistra stanno ridotti molto, ma molto peggio.
Dopo la manifestazione in piazza a Roma con settantamila persone, un giornale di prestigio come La Repubblica commentava che il Pd non è morto (ancora), ma solo svenuto. E quei settantamila dimostravano che la voglia di sinistra esiste ancora, però – aggiungeva La Republica – la richiesta ai dirigenti è una “unitevi, basta con le liti”. Se c’era bisogno di una riprova questa non è certo venuta dal Pd di Terni. Il quale ha riunito l’assemblea comunale ed è andato all’elezione del nuovo segretario, dopo le dimissioni di Sara Giovannelli. Il cetriolo è toccato a Leonardo Grimani, il sindaco di San Gemini che è pure senatore: l’unica soluzione apparsa possibile ai tre o quattro capibastone del Pd che vanno avanti come se si fosse ancora nell’anno 2017. Però da allora è passato un secolo anche se dal calendario sono stati strappati solo 365 foglietti, alcuni dei quali, però, (quelli di marzo e per Terni soprattutto quelli di giugno 2018) hanno segnato un punto di svolta. Una svolta profonda che costringe tutti a fare una bella rivisitazione di idee, comportamenti, modo di fare politica. Solo teoria, per quei tre o quattro, che seguitano imperterriti convinti di stare solo in un brutto sogno. E quindi braccio di ferro, e un bel regalo a Grimani proprio la sera prima del suo compleanno. Avrebbe potuto tirarsi indietro l’unico parlamentare Pd della zona? Forse sì, se lo avesse davvero voluto. Nessuno sperava è evidente, in un plebiscito, ma certo che solo 59 voti – tanti ne ha avuti Grimani – sui più di cento disponibili sono davvero pochini. Roba da far cadere 140mila braccia per terra… E il Pd resta esanime.