L’ex assessore alla cultura del Comune di Terni , Giorgio Armillei, tornato al suo lavoro di funzionario direzione affari istituzionali, interviene, con un post pubblicato sulla sua pagina Facebook, sulla situazione al Comune di Terni che si è creata alla’indomani della indagine sugli appalti che ha coinvolto anche funzionari dell’ente.
Nel ricordare che “una indagine non è sentenza” , l’ex assessore evidenzia però la richiesta che viene dalla città “di trasparenza ed efficienza”.
“Non lasciamo la risposta – scrive Armillei – ai giochi di potere dei piccoli burocrati o dei fanatici delle manette addestrati alla cultura del sospetto.”
IL POST DI GIORGIO ARMILLEI
Professionisti. A testa alta
Un’indagine non è una sentenza di condanna. L’umana solidarietà e la conferma della stima verso colleghi di lavoro indagati sono gesti che fanno la differenza tra una città che rispetta la dignità delle persone e – al contrario – un’accozzaglia sociale che si avvia a perdere le qualità di città. E non c’è codice di comportamento o regola disciplinare che tengano: lo spirito civico e i principi costituzionali vengono prima di tutto.
Tuttavia è impossibile far finta di non vedere come dalla città, anche in forme esasperate e giustizialiste, emerga una domanda fortissima di trasparenza e di efficienza. E’ una domanda alle quale – noi che lavoriamo in una pubblica amministrazione o in un’azienda pubblica – dobbiamo rispondere in prima persona. Con coraggio oggi raddoppiato dalle esigenze di un ambiente deluso ma che non coltiva pregiudizi ostili. E dobbiamo anche farlo con urgenza: incombe da un lato la minaccia di uno sfilacciamento definitivo del rapporto tra la città e la sua amministrazione pubblica, e dall’altro la ricerca interessata o ingenua di un salvatore della patria, sia esso un commissario o l’ennesimo occhiuto piano anticorruzione.
E’ una domanda che ci sfida come diversificata comunità professionale: informatici e ingegneri, avvocati e sociologi, psicologi, educatori, mediatori e comunicatori, statistici, architetti, esperti di finanza pubblica e manager della cultura, social worker e tutti quelli che lavorano per l’amministrazione pubblica della città. Non lasciamo la risposta ai giochi di potere dei piccoli burocrati o dei fanatici delle manette addestrati alla cultura del sospetto. Quella che – diceva Giovanni Falcone – non è l’anticamera della verità ma l’anticamera del khomeinismo. Non lasciamo che a farsi sentire siano solo alcuni politici, aspiranti manovratori e vittime allo stesso tempo della gabbia burocratica. Non lasciamo che a rappresentare la nostra immagine siano manager pubblici nei quali in gran parte non ci riconosciamo. Andiamo a fondo di una questione che è innanzi tutto di identità professionale. Orgogliosamente professionale.
Dobbiamo alzare la testa, uscire dallo stallo, rispondere ai sospetti. L’innovazione nell’amministrazione pubblica non viene sempre dalla politica e prendere in mano il processo di innovazione non è usurpare ruoli o spazi. Proviamo a cancellare ogni “chi me lo fa fare” con un sussulto di protagonismo. Proviamo a mettere in evidenza le nostre competenze professionali come un valore della città: public value lo chiamano gli anglosassoni. Nessuno ci deve dare il permesso e nessuno può immaginare di minacciarci. La Terni di domani dipende anche da noi.